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Congo, il tesoro che fa gola a molti

Non se ne sente parlare, ma qui si giocano interessi internazionali. Sulla pelle di chi vi abita... 

Parole chiave: Congo (1), Coltan (1), Cobalto (1), Cina (11), Politica internazionale (2), Cellulari (2), Sfruttamento (4), Africa (19), Missionari comboniani (3)
Congo, il tesoro che fa gola a molti

È il Paese più ricco d’Africa ed è anche il più povero. Il Congo è un giacimento di risorse minerarie che fa gola a tutto il mondo. Una terra straordinaria, grande otto volte l’Italia, che però soggiace allo sguardo vorace degli interessi internazionali. Perché qui si trovano – in enormi quantità – i metalli utilizzati per produrre le tecnologie più avanzate: dagli smartphone, i cellulari di ultima generazione, alle batterie per le auto elettriche. Coltan e cobalto sono le ricercatissime materie prime. Il nuovo oro del futuro.

In questi giorni a fare scalpore (ma neanche tanto, visto il tiepido impatto sull’opinione pubblica) è la Cina, scesa ufficialmente in campo per la conquista del continente africano. In Congo, tuttavia, questa presenza non è una novità: da anni i cinesi hanno iniziato a comprare miniere a tutto spiano. Pechino è in prima fila nella battaglia per accaparrarsi le risorse naturali, in una gara che vede coinvolte società minerarie statunitensi, russe e pure europee (con gli svizzeri in testa).

«Tutto sulla pelle dei congolesi», denuncia padre Eliseo Tacchella, 64 anni, per trenta missionario comboniano nella diocesi di Butembo-Beni, regione dei grandi laghi, in Congo orientale. «Quello della Cina è un regalo avvelenato. Ciò che accade davvero è che stanno svendendo l’Africa», aggiunge. E porta come esempio un’inchiesta parlamentare, per rendere meglio l’idea: «Se i cinesi spendono uno, in cambio ottengono otto volte tanto, perché non si riesce mai a stabilire a priori quanto renderà una miniera; e nella maggioranza dei casi la realtà supera sempre le stime».

Chi sta svendendo il Congo? «Chi lo governa da anni», dice. Nell’era post coloniale, dopo l’indipendenza dal Belgio, c’era stato Mobutu; poi è salita al potere la famiglia Kabila, che ancora non molla le redini. Dittatori corrotti con un’apparente veste democratica. 

Bavaglio mediatico, eliminazione degli oppositori politici, massiccia presenza di milizie armate, instabilità e violenza: oggi la Repubblica democratica del Congo appare così. In piena crisi politica, è in attesa delle elezioni più volte rimandate, che dovrebbero tenersi a dicembre. L’attuale leader Joseph Kabila, stando alla Costituzione, dovrebbe abbandonare la sua poltrona, avendo raggiunto il limite dei due mandati. «Ma anche se lo farà si sa già che il suo successore sarà direttamente controllato da lui; inoltre il sistema di voto è elettronico e molto macchinoso, pare fatto apposta per scoraggiare la partecipazione e mantenere il controllo del potere». Il potere, gli interessi. «La gente è poverissima, mentre qualcun altro intasca smisurati tesori», osserva Tacchella.

La Chiesa, in questo contesto, non è ben vista. «Dalle persone sì, perché la maggior parte della popolazione è cattolica: a Butembo, più un milione di abitanti a 1.700 metri di quota, si sfornano fino a duemila ragazzi per le cresime – esemplifica il comboniano –. Nella nostra diocesi, però, hanno rapito cinque preti in sei anni: tre nel 2012 e due l’anno scorso, proprio dov’ero io; di loro non si è più saputo nulla e i massacri purtroppo sono ancora all’ordine del giorno». 

È un Paese diverso quello che vede oggi il missionario, giunto per la prima volta in Zaire (allora si chiamava così) nel settembre del 1979. «La situazione è molto peggiorata: ho visto il Congo arretrare molto; d’altra parte, però, ho registrato una crescita notevole della sensibilità e della mentalità delle persone: è lì che bisogna investire», spiega.

San Daniele Comboni diceva che bisogna salvare l’Africa con l’Africa. «A maggior ragione oggi dovrebbe essere così: è necessario investire nella formazione e nella creazione di una coscienza critica della gente, solo così i congolesi potranno farcela – rimarca Tacchella –. Di sicuro Comboni ci direbbe che siamo troppo tiepidi e ci esorterebbe ad alzare la voce per i nostri fratelli sfruttati».

Già, lo sfruttamento. È invisibile, eppure ce l’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, quando prendiamo in mano il telefono. A chi viene in mente che un pezzetto del nostro inseparabile cellulare è frutto del lavoro – o meglio, schiavitù – di centinaia di congolesi, spesso bambini? Armati di piccone, restano ingoiati per ore in cunicoli sotterranei per raccogliere i preziosi sassolini, poi lavati e portati ai mercanti, alla frontiera col Ruanda. «L’80% del coltan mondiale si trova in Congo – evidenzia il sacerdote –. Viene raccolto in condizioni a rischio sicurezza e molto insalubri: ci vogliono venti persone e una settimana di lavoro per ottenerne un chilo, pagato 20 dollari. A fare il prezzo sono gli acquirenti stranieri, la popolazione non ha voce in capitolo». 

Stessa storia per il cobalto: nel sottosuolo congolese vi è il 60% della riserva mondiale. «La domanda è in continua crescita e il prezzo è triplicato nel giro di un paio d’anni – rileva –. Ci sono città che si prevede verranno rase al suolo per far posto agli scavi; io stesso ho visto demolire completamente una parrocchia nella diocesi di Ituri, nel Congo nord-orientale: è stata ricostruita a una decina di chilometri di distanza, perché nel sito originario c’era una miniera d’oro a cui doveva lasciare lo spazio», racconta Tacchella. «Guardando queste dinamiche è chiaro come sia la finanza a gestire il mondo: la politica si adegua e la corruzione dilaga, a discapito degli ultimi». 

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