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Buttare via la chiave? Non è la soluzione

Aiutare i detenuti a rifarsi una vita onesta fuori dal carcere riduce la recidiva. Lo dicono i dati del "Progetto Esodo", promosso dalle Caritas diocesane di Verona, Vicenza e Belluno

Parole chiave: Detenuti (1), Misure alternative (1), Carcere (7), Progetto Esodo (3), Volontariato (88)
Buttare via la chiave? Non è la soluzione

Oltre mille detenuti aiutati a rifarsi una vita onesta, lontana dal crimine. È questo il risultato tangibile di sette anni di Progetto Esodo: un programma rivolto a detenuti, ex detenuti o in esecuzione penale esterna che dispongono di poche risorse materiali proprie e familiari per tornare alla normalità. 

Ricollocare queste persone nel tessuto sociale è nell’interesse della collettività. Lo dicono i dati sulla recidiva, ovvero la percentuale di ricaduta nei reati per cui si è già stati condannati. In Italia, chi sconta la pena soltanto in carcere nel 68% dei casi finisce di nuovo dietro le sbarre. Al contrario, solo il 19% di chi è ammesso a misure alternative torna a delinquere. A Verona, per gli ex detenuti che hanno usufruito del Progetto Esodo la percentuale si abbassa al 13,7% a distanza di tre anni. 

È dal 2011 che le Caritas diocesane di Verona, Vicenza e Belluno si sono messe in rete col Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto per promuovere percorsi strutturati di inclusione socio-lavorativa. Grazie al sostegno di Fondazione Cariverona, che ha erogato oltre 8 milioni di euro in questi anni, è stato possibile mettere in piedi una serie di misure di intervento, suddivise in quattro settori. 

C’è l’accoglienza in ambito residenziale, istituita per garantire un domicilio rispondente ai requisiti (tra questi, l’assenza di altri pregiudicati), indispensabile per scontare la pena fuori dal carcere. A Verona sono 35 le accoglienze effettuate ogni anno nei quattro appartamenti messi a disposizione dalle cooperative sociali Il Samaritano e Milonga. 

Altro tassello prezioso è l’area formazione, con percorsi finalizzati ad apprendere un mestiere; l’Esev (Ente scuola edile veronese), ad esempio, ha formato diversi detenuti alle professioni legate all’edilizia. Tra i casi di successo c’è chi, dopo aver seguito i corsi, si è aperto un’impresa in proprio, assumendo addirittura 12 dipendenti.

L’area lavoro è l’altro grande ramo del Progetto Esodo: laboratori occupazionali, tirocini, intermediazione nella ricerca di occupazione. All’interno della casa circondariale di Montorio opera l’impresa sociale Reverse, che nel laboratorio di falegnameria realizza prodotti di design, assumendo i detenuti. All’esterno, il consorzio di cooperative sociali Sol.Co, la cooperativa Energie sociali e la cooperativa Insieme promuovono invece inserimenti territoriali. 

Il quarto ambito è quello del sostegno, dell’assistenza sanitaria e dell’integrazione sociale. L’associazione La Fraternità, tra le varie opere, offre supporto psicologico individuale e di gruppo ai detenuti; la San Vincenzo, invece, distribuisce il vestiario, garantendo un kit di biancheria a chi entra in carcere. 

L’impatto sociale del Progetto Esodo è stato misurato da Euricse, l’Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale, che ha presentato i risultati la scorsa settimana a Verona, dove sono nove le realtà in prima fila. «La ricaduta diretta sugli utenti è stata in media di 10 mesi di assistenza sanitaria, di oltre 7 mesi nei servizi mensa e attività assistenziali e servizi residenziali, tra i 4 e i 6 per le attività di avviamento e formazione al lavoro, di avviamento al lavoro ed educative – chiarisce Sara Depedri, coordinatrice del gruppo di studio –. La rete di 25 enti coinvolti a livello regionale ha avuto un impatto occupazionale importante: i lavoratori che hanno svolto attività retribuite per Progetto Esodo sono cresciuti nel tempo e oggi quelli remunerati sono 122». 

Vincere lo stigma della reclusione resta la resistenza più grande da abbattere. «Chi esce dal carcere ed è intenzionato a seguire un percorso di vita regolare ha bisogno di un accompagnamento mirato», osserva il pedagogista Alessandro Ongaro, responsabile delle attività educative e sociali del Samaritano, nonché coordinatore provinciale del Progetto Esodo. «Per cambiare vita e diventare autonomi non bastano soltanto un letto e un lavoro: il cammino da compiere è più ampio e necessita di un affiancamento mirato per permettere alla persona di cambiare – aggiunge –. I benefici, va sottolineato, non sono solo per i detenuti, perché ricadono nel medio e lungo periodo sulla comunità: favorire il reinserimento sociale di queste persone ha riflessi positivi per tutti». 

Prevenire la marginalità resta l’obiettivo primario dell’iniziativa, che da due anni a questa parte può contare su una veste giuridica più formale, con la nascita della Fondazione Esodo. «Attraverso questa rete di attori sociali si rende concreta la funzione rieducativa della pena prevista dalle norme – chiosa don Enrico Pajarin, presidente della Fondazione e direttore della Caritas diocesana vicentina –.Siamo chiamati a concretizzarla sempre di più, affinché la nostra società sia caratterizzata da giustizia e pace sociale».

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