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La paura fa novanta il Chievo... novantuno

n un libro il giornalista Franco Bottacini ripercorre la storia della squadra della Diga. Fra aneddoti, statistiche, foto e...

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La paura fa novanta il Chievo... novantuno

Mentre il Chievo attende di giocare la sua prossima partita (in programma venerdì sera alle 21, al Bentegodi, in diretta su Raisport) contro il Lecce, nel suggestivo incrocio con il suo ex giocatore e allenatore Eugenio Corini, nei giorni scorsi è stato presentato un volume che ne ripercorre la storia, dagli albori fino ai giorni nostri, per celebrare le nove decadi di vita. Si tratta di un progetto che l’autore, il giornalista Franco Bottacini, già redattore de L’Arena e collaboratore del Corriere dello Sport-Stadio, sta portando avanti da molto tempo. Aveva scritto già un primo volume nel 1989, in occasione del sessantesimo compleanno della società clivense e un primo aggiornamento soltanto dieci anni dopo, quando la società si apprestava a giocare la stagione della prima promozione in Serie A. Mancavano all’appello, a questo punto, gli ultimi vent’anni, quelli delle diciassette stagioni in Serie A, ma anche quelli che hanno visto la compagine veronese giocare in Coppa Uefa, in Champions ed Europa League, crescere e rilanciare giocatori che sono poi andati in qualche caso (vedi Barzagli, Perrotta e Barone) persino a vincere un Mondiale nel 2006 e molto altro. Insomma, una sorta di imperdibile manuale di oltre seicento pagine con la cronaca, ma anche schede, statistiche, tabellini, splendide foto e tante curiosità che lo rendono una pietra miliare per le librerie di tutti i tifosi del “Ceo”.
– Bottacini, come nasce quest’opera?
«Se oggi possiamo apprezzare il libro è perché Giuseppe Campedelli, zio di Luca e oggi presidente della società, lo ha voluto fortissimamente. Ci teneva molto. L’idea, a dirla tutta, è partita tre anni fa e secondo i programmi il volume doveva uscire già alla fine della scorsa stagione. Quella, appunto, dei novant’anni. Poi per tutta una serie di ragioni, dovute soprattutto al Covid, abbiamo deciso di rimandare la presentazione al periodo precedente il Natale e così eccoci qua. Devo dire che ho anche avuto un importantissimo aiuto dal direttore generale del Chievo, Corrado Di Taranto, e dal collega giornalista Marco Sancassani, mentre le statistiche sono di Alessandro Longo. Un grazie anche a Emanuele Panepinto, che si è preso cura di uniformare graficamente la parte dei tabellini».
– Che tipo di lavoro è stato fatto in quest’occasione?
«Il racconto è volutamente sul tono cronistico, di tipo puramente giornalistico. Si fa, insomma, una sorta di cronistoria dei vari campionati degli ultimi vent’anni. Dentro, però, ci sono numerose schede maggiormente orientate a raccontare aneddoti e fatti curiosi, piccoli record, notizie magari sfuggite ai più e via dicendo».
– C’è qualcosa che ha scoperto durante la stesura di questa nuova edizione e che l’ha sorpresa?
«Sì. Parlando con Fabio Moro e altri giocatori del primo Chievo in Serie A ho scoperto che molti di loro sono ancora del tutto convinti che, se non fossero stati danneggiati dagli arbitri, probabilmente avrebbero vinto quel campionato. Era, quella, una squadra sbarazzina, che se la giocava con tutti, e in effetti poteva a detta di molti fare davvero l’impresa. Aveva, peraltro, tante analogie con l’Hellas di Bagnoli. In entrambi i casi la squadra giocava in maniera brillante, a prescindere da chi scendeva in campo. Eravamo al cospetto di una scacchiera perfetta».
– A questo proposito ricordo che c’era stata una partita in particolare, Milan-Chievo finita 3-2 per i rossoneri, pesantemente condizionata dai tanti errori dell’arbitro Cesari, tutti a favore della squadra meneghina. Forse fu la svolta, in negativo, di quel campionato?
«Chissà cosa sarebbe successo se il Chievo fosse uscito vincitore da San Siro, in quell’occasione. Forse alla fine sarebbe davvero andata diversamente. Ma al di là di quello che non è successo, personalmente sono stato molto più rammaricato dalla retrocessione del 2007. Per tutto il campionato il Chievo era stato sopra la linea di galleggiamento e solo all’ultima giornata, con la sconfitta contro il Catania sul neutro di Bologna, retrocesse. Anche se poi, per fortuna, l’anno successivo tornò subito in A, vincendo brillantemente il torneo cadetto».
– Escludendo Pellissier, per tutti uomo simbolo del Chievo degli ultimi vent’anni, c’è secondo lei un altro giocatore che allo stesso modo incarna più di altri lo spirito di questa squadra?
«Il primo che mi viene in mente è Fabio Moro. Un combattente, ma anche una persona di grande valore, dentro e fuori lo spogliatoio. Ce ne sono anche altri, ovviamente, che meriterebbero di essere ricordati. Un altro è, ad esempio, Lorenzo D’Anna, che come Corini oltre che giocatore è stato anche allenatore di questa squadra, anche se secondo me un po’ sfortunato. Dopo aver salvato la squadra nell’ultima stagione di Maran, l’anno successivo ha avuto un avvio piuttosto negativo e nel calcio, dopo tre partite in cui non fai risultato, sei bruciato. Lo sanno tutti e lo ammettono gli stessi presidenti, che non possono di certo cambiare venti giocatori».
– Venendo invece alla dirigenza, c’è qualcuno che secondo lei ha, più di altri, dato quell’impulso decisivo alla storia della società?
«L’uomo più determinante, che ha avuto il merito di cambiare davvero la mentalità della società, è stato il padre di Luca Campedelli, Luigi. Per stessa ammissione di suo figlio era una persona che sapeva guardare lontano e non è un caso se la stessa squadra che lui aveva costruito in C, con solo un paio di cambi, era poi riuscita a salire in Serie B con Luca, due anni dopo la sua scomparsa. Sul piano operativo Giovanni Sartori è stato un uomo determinante. È partito come giocatore, poi viceallenatore di Bui, quindi proprio Luigi Campedelli gli fece fare il salto dietro la scrivania, come direttore sportivo. E oggi possiamo dire tutti che anche in quell’occasione ci aveva visto giusto».

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