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A San Briccio il paese s'intreccia con la sua chiesa

di ADRIANA VALLISARI
Dall'antico edificio sul colle al "nuovo": il tutto in un libro 

A San Briccio il paese s'intreccia con la sua chiesa

di ADRIANA VALLISARI
Cos’è una chiesa? Un luogo di culto, certo, ma anche la custode della storia di una comunità. Vien da pensare questo, sfogliando il libro San Briccio. Il paese tra passato, presente e futuro, scritto da Giuseppe Corrà e Renzo Zerbato, già prolifici autori di storia locale, con diverse pubblicazioni all’attivo nel territorio di Lavagno.
Il testo ricostruisce le vicende dell’antica chiesetta sul colle, che era parte di una prebenda espropriata nel 1882 dal Genio Militare di Verona per costruire proprio lì un imponente forte, a difesa di eventuali attacchi austriaci. Furono anni di grandi cambiamenti quelli, per l’intero abitato di San Briccio, oggi frazione del Comune di Lavagno, che all’epoca contava suppergiù 800 anime. A occuparsi della trattativa fu don Serafino Manzatti, parroco dal 1882 al 1908, che seguì la demolizione di tutto il complesso parrocchiale nel maggio del 1883 e la successiva edificazione della nuova chiesa parrocchiale, benedetta il 25 marzo 1885, sebbene non del tutto completata.
Scartabellando nell’archivio parrocchiale e consultando gli scritti dei parroci – come il Libro delle memorie, cioè il Registro delle cose e fatti notabili e singolari spettanti alla Venerabile Pieve di San Brizio, cominciato nell’anno 1853 da don Giustino Lonardi – gli autori hanno riportato alla luce i fatti dell’epoca. Una rassegna di avvenimenti, condita da aneddoti curiosi, che è stata presentata al pubblico questo il 3 febbraio nella chiesa parrocchiale.
«La realizzazione delle nuove opere parrocchiali a San Briccio ha rappresentato un momento di unificazione della comunità locale nel tempo passato – rilevano Corrà e Zerbato –. Una coesione che, ai giorni nostri, potrebbe ricrearsi con la riqualificazione del forte, centro di cultura da quando i militari lo hanno dismesso nel 1978 e quando poi, nel 2012, il Comune l’ha ottenuto gratuitamente, dandolo in gestione all’associazione “All’ombra del forte”, con l’obiettivo di renderlo fruibile a tutti». Il gigante di pietra che sovrasta l’abitato, e che mai partecipò a una guerra, è una presenza che potrebbe trasformarsi in un punto di attrazione per il paese, e vivificarlo, suggeriscono gli studiosi. Cominciando con il conoscere la sua storia e quella delle opere parrocchiali, così legate a esso. A partire dalla vecchia chiesa della seconda metà del XV secolo che stava sul colle. Don Manzatti, in accordo coi fedeli, la vendette per 57mila lire ai militari, che gli avevano espropriato gran parte dei terreni per la costruzione del forte. «La chiesetta arrampicata sul colle era l’unica a salvarsi dal sequestro e dall’abbattimento, ma sarebbe rimasta priva di custodia, visto che il parroco doveva traslocare più in basso, in paese – spiega Corrà –. Così, fu proprio don Serafino a prodigarsi perché i militari gli espropriassero anche la chiesetta».
Dopo l’abbattimento del vecchio edificio di culto, per un periodo venne usato l’oratorio di San Nicola, in località Turano, finché la nuova chiesa non fu pronta. La prima pietra fu posata il 26 giugno 1883 e la chiesa aprì al culto con oltre un anno di ritardo rispetto ai tempi ipotizzati. «Venne inaugurata il 25 marzo 1885, col sagrato ancora in terra battuta (rimasto tale fino al 1935), priva del pavimento, con le pareti non affrescate: mancava inoltre il campanile, ultimato nel 1892, mentre i banchi erano quelli della chiesetta sul monte, neppure sufficienti per quella nuova», ricostruiscono gli autori. Un’apposita commissione si occupò dei lavori, affidando l’incarico di progettazione a don Angelo Gottardi, rinomato architetto delle chiese dell’epoca. Altari, pulpito e balaustre vennero recuperati dalla vecchia chiesetta; tra le opere di pregio, ancora oggi ammirabili, c’è la tela che raffigura una Madonna con i santi, opera di Nicolò Giolfino, posta sul primo altare a sinistra. Nelle due grandi nicchie sulla facciata furono poste le statue dei patroni, san Briccio e san Biagio. Attorno al primo c’è pure un piccolo mistero, legato alla mano sinistra: in origine la teneva in basso, a sorreggere il mantello, oggi invece è sollevata in una postura poco comprensibile.
Completano l’opera le pagine dedicate ai parroci che si sono succeduti nel tempo, da don Nicola Modesti a don Remo Bertolini, scomparso nel dicembre scorso. «Possiamo solo immaginare che scombussolamento sia stato per l’intero paese lo spostamento della chiesa, che in passato era il punto di riferimento della comunità anche civile – rileva don Samuele Zanchi, parroco di San Pietro e San Briccio –. Questo ci ricorda che i cambiamenti vanno affrontati e vissuti come una parte naturale della storia: se l’arrivo del forte ha costretto il paese a “fare una nuova chiesa”, forse oggi la comunità è chiamata a “fare nuova la chiesa”, ossia il suo modo di vivere la fede e di essere comunità non isolata, ma in rete con altre». 

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