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Il successo dell'Arena passa dalla bacchetta di Armiliato

di MARIO TEDESCHI TURCO

Anche in Turandot eccellente direzione del Maestro genovese. Accanto all'eccelsa Netrebko, molto bene Eyvazov e il resto del cast. E per il futuro, non solo Zeffirelli...

Parole chiave: Puccini (1), lirica (8), Arena (24), Zeffirelli (1), Armiliato (1)
Il successo dell'Arena passa dalla bacchetta di Armiliato

Il direttore d’orchestra Marco Armiliato, come noto, è stato scelto dalla sovrintendenza areniana come direttore stabile del festival 2022, con un impegno notevolissimo a dirigere 24 recite complessive delle cinque opere in cartellone. Scelta eccellente, non solo per le ottime doti interpretative del Maestro, ma anche perché in questo modo l’orchestra ha avuto la possibilità di un lavoro omogeneo, costante, trovando intesa tra le sezioni, precisione di dettaglio, respiro narrativo condiviso, spesso anche tornitura di suono ed escursione dinamica degna quasi di un teatro al chiuso. È stato Armiliato dunque il protagonista del 99° festival veronese, anche nella Turandot in prima il 4 di agosto, a maggior ragione tenendo conto della densità di scrittura orchestrale/corale pucciniana, in cui la forma sinfonica detta tempi, colore e senso della favola crudele che, dal Settecento di Carlo Gozzi filtrato dalla traduzione/riscrittura di Schiller, giunse negli anni Venti del secolo scorso a chiudere in certo qual modo una tradizione operistica italiana. Armiliato è partito con tempi larghi, consapevole della difficoltà di sincronia tra palco e buca nel I atto; poi il passo è stato sensibilmente accelerato, in questo modo ottenendo un effetto di scarto tra popolo e personaggi, che dal punto di vista drammaturgico ha raccontato benissimo, in modo precipuamente musicale, il dramma di Calaf, Timur e Liù all’interno della sanguinaria folla pechinese. L’accompagnamento del canto nelle fasi liriche è stato di impulso e non di sostegno, in modo tale da ottenere il meglio dai cantanti, in particolare dal tenore Yusif Eyvazov, che in Puccini è molto più a proprio agio che in Verdi: lasciando correre la voce con enfasi appropriata, l’intonazione perfetta senza troppi ingolamenti (il problema cronico di questo bravo cantante), Eyvazov ha trovato un Calaf in giusto equilibrio tra eroismo e follia erotica, con bella varietà di accento, controllo della dizione, legato corretto ed espressivo, il tutto abbinato ad appropriati movimenti scenici che ne hanno definito il personaggio con rilievo epico ragguardevole. Bissato a furor di popolo un eccellente Nessun dorma. Buona vocalmente anche la Liù di Maria Teresa Leva, in difficoltà invece Ferruccio Furlanetto, Timur dalla voce usurata: è restato solo il fraseggio a salvarlo, perché un artista è tale anche se il tempo passa inesorabile. Gezim Myshketa, Matteo Mezzaro e Riccardo Rados hanno dato voce e corpo al trio delle maschere Ping, Pong e Pang, e lo hanno fatto assai bene, leggeri e buffi come devono essere. Bene anche la breve parte di Altoum interpretata da Carlo Bosi. Sulla Turandot di Anna Netrebko si rischia di cadere nell’enfasi, scrivendone: attrice vocale di livello eccelso, il soprano è in primo luogo una musicista che sa plasmare ogni frase, diresti ogni parola, non solo aderendo alla notazione del compositore, ma caricandone drammaticamente il significato con un temperamento, una tecnica e uno stile che ti fanno dimenticare la cantante in favore esclusivo del personaggio. Che gli acuti siano di acciaio, le mezze voci insinuanti, lo spicco retorico della parola scenica folgorante sono dati di fatto incontestabili, così come la statura dell’artista: storica.

L’allestimento ideato da Zeffirelli nel 2010 è ancora tutto sintonizzato sull’elemento fiabesco come l’avrebbero raccontato a Hollywood negli anni d’oro, declinando un’estetica dello stupore molto rétro che in quest’opera, nello spazio e con il pubblico dell’Arena, a nostro avviso funziona molto bene. Però: ribadito l’ottimo lavoro della sovrintendenza, in questi anni, dal punto di vista musicale, quando abbiamo avuto voci straordinarie che mancavano dall’anfiteatro da anni; quando l’attenzione ai direttori e concertatori è stata portata avanti con coerenza, migliorando costantemente le prestazioni dell’orchestra; bene, detto tutto questo, saranno necessarie per il futuro nuove produzioni, riservando ai classici di Zeffirelli magari sì qualche ripresa (di questa Turandot, del Trovatore magari: le più riuscite), ma cercando nuove strade, e soprattutto registi che lavorino sul palco con i corpi degli attori. Si badi: siamo del parere che la vocazione necessaria all’Arena sia in certo qual modo museale, vale a dire quella di riproporre una poetica antica della messa in scena, con i fondali dipinti, le grandi masse, l’impronta naturalistica: teatro musicale come si faceva decenni fa, da far conoscere come testimonianza, magari per prenderne le distanze anche, ma che come concetto storico abbia una sua fondatezza. L’importante è che il “museo” sia vivo, animato nella rivisitazione non solo alla luce della scenotecnica contemporanea, ma soprattutto dalle idee vitali delle nuove generazioni di registi. Da troppo tempo ormai viviamo della memoria cara di Zeffirelli sugli stessi titoli, ciò che rischia non poco di deprimere la qualità culturale delle proposte.

(nella foto Ennevi il Maestro Marco Armiliato)

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