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Un’ondata di “commerciale” in una Verona già satura

Il Consiglio comunale spinge forte per nuove superfici da edificare. Inopportuno?

Parole chiave: Amministrazione comunale (2), Edilizia (1), Verona (223), Politica (43)
Un’ondata di “commerciale” in una Verona già satura

È convinzione comune che Verona già ora sia discretamente satura di spazi commerciali, soprattutto nella grande distribuzione. Lo testimoniano le decine di super e ipermercati in città e nell’immediata cintura urbana, una densità tale che ha innescato una concorrenza sui prezzi che non ha eguali in Italia. La spesa veronese infatti è tra le più “risparmiose” in assoluto a livello nazionale (bello per noi, ma i margini per chi vende sono veramente ai minimi).

Lo testimoniano le esperienze dirette di noi consumatori: le file alle casse nei momenti di punta (sabato, ad esempio) si sono progressivamente rarefatte. Per non parlare del vuoto nei giorni feriali in alcune strutture. Sempre di più. Lo testimoniano gli orari difficoltosi e spezzati che sono imposti al personale di vendita. E le preoccupazioni che i dipendenti ormai esternano nel constatare il progressivo calo degli scontrini.

Ebbene: il Consiglio comunale sta andando in direzione ostinata e contraria, in particolare la maggioranza – dopo aver frenato le trenta e passa autorizzazioni che giacevano sul tavolo del precedente sindaco Flavio Tosi – sta riaprendo i cordoni della borsa dei permessi. Superfici commerciali in via Legnago, un nuovo supermercato a Quinto, aree di vendita in via Faliero al Saval, un centro commerciale nell’ex Consorzio Agrario in Zai, altri metri quadrati vicino a corso Milano, 8mila mq di commerciale nell’ex Tiberghien a San Michele Extra, un nuovo supermercato vicino a Ca’ di Cozzi... Per carità: non è l’Ikea e i 170 negozi che avrebbe portato con sé, da aprire a ridosso del colosso svedese. E bisogna capire pure l’amministrazione comunale, che non può dire no a tutto e tutti, ha bisogno di opere compensative pagate dai privati e degli oneri urbanistici che tali approvazioni portano con sé.

Ma la variante urbanistica (la 23) disegnata dall’assessore Ilaria Segala sta cambiando decisamente connotati. Soprattutto, rischia di saturare il... saturato. I veronesi sono quelli che sono, la nostra non è una città che raddoppierà i residenti nel giro di pochi anni. Ok i turisti, che però hanno modalità mordi-e-fuggi e non possono essere considerati consumatori affidabili. La città infine sta attraendo molti “clienti” dalla provincia, a sua volta svuotando le strutture commerciali sparse sul territorio. Già ora ci sono centri commerciali in vera sofferenza, il cui destino appare a questo punto incerto. Rimarranno cattedrali nel deserto, come l’ex Casamercato lungo la Porcilana nel Comune di Lavagno?

Insomma si aprono continuamente spazi fisici di vendita in un momento storico in cui crescono a dismisura le vendite on line, in cui Amazon apre un grande centro di smistamento proprio nella nostra città. Un tipo di edilizia che non sembra risentire di alcun vento di crisi, ma rimane che la coperta – comunque la si tiri – appare troppo corta: le grandi superfici cittadine sfiancano quelle sparse per la provincia; i piccoli negozi di quartiere chiudono; il turnover di gestioni è sempre più rapido. Infine la crescita di internet nella nostra vita rivoluzionerà certe abitudini, con determinate conseguenze: le banche giocoforza inizieranno a chiudere uno dopo l’altro gli sportelli fisici; alcuni tipi di prodotti si “vedono” in negozio (es. gli elettrodomestici) e si acquistano on line; il negozio diventerà sempre più showroom, vetrina più adatta a mostrare che a vendere.

Se poi crescerà agli attuali ritmi pure la spesa alimentare (e non) fatta on line e portata fino a casa – e i futuri anziani saranno “digitali” – a cosa serviranno decine e decine di grandi superfici di vendita, tra l’altro difficilmente riconvertibili? Perché la crisi degli uffici è stata in parte risolta trasformandoli in abitazioni. Ma già oggi vediamo in giro per la provincia (e in Zai) le conseguenze del declino del capannone artigianale nell’epoca del terziario avanzato: molti non sono nemmeno più in vendita, mollati lì per evitare i costi di abbattimento. 

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