Chiesa
stampa

Una terna diocesana sulla via della santità

Benedetta Bianchi Porro prossima beata, don Giovanni Ciresola e mons. Luigi Bosio dichiarati venerabili. Tre persone vissute nel secolo scorso nella diocesi di Verona, con vicende molto diverse tra loro, che hanno saputo vivere in fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, testimoniando con coraggio la loro fede.

Una terna diocesana sulla via della santità

Il Novecento è stato il secolo delle due guerre mondiali, delle ideologie, dei totalitarismi, della Shoah. Ma nonostante queste ed altre nefandezze perpetrate dagli uomini, il filo della santità, della vita cristiana vissuta e testimoniata in modo eroico non si è interrotto e ha continuato a manifestare nuove perle. Anche nella nostra diocesi. Mai era successo prima del 7 novembre scorso che venissero promulgati dalla Congregazione delle cause dei santi, su disposizione del Santo Padre, i decreti riguardanti ben tre Servi di Dio vissuti nella nostra diocesi. Ovvero quello relativo al miracolo attribuito all’intercessione della venerabile Benedetta Bianchi Porro, che sarà presto beatificata nella cattedrale di Forlì, e i decreti che riconoscono come don Giovanni Ciresola e mons. Luigi Bosio hanno vissuto in modo eroico le virtù teologali e cardinali. I due sacerdoti diventano quindi venerabili.

Qualche rapido cenno biografico.

A pochi giorni dalla conclusione del Sinodo dei Vescovi sui giovani, è assai significativo l'annuncio della prossima beatificazione di Benedetta Bianchi Porro, vissuta solo 27 anni tra indicibili sofferenze ma sempre accompagnata dalla luce della fede che ha saputo testimoniare a quanti l'hanno conosciuta. Nata a Dovadola (Forlì) l’8 agosto 1936, seconda dei sei figli di Guido ed Elsa Giammarchi, a tre mesi viene colpita da poliomielite e rimarrà con la gamba destra più corta dell’altra. Nel 1942 la famiglia si trasferisce a Sirmione, sul lago di Garda, dove il padre lavora come ingegnere termale, ma l’anno seguente, nel pieno del secondo conflitto mondiale, va a vivere come sfollata a Casticciano, nei pressi di Bertinoro (Forlì). Alla fine del ’44 Benedetta viene ospitata dal nonno nel paese natale e, alla fine della guerra si ricongiunge con la famiglia a Forlì dove rimarrà fino al 1951. A partire dal 1949 comincia a perdere progressivamente l’udito. Nel ’51 la famiglia si trasferisce a Sirmione e l’anno seguente Benedetta frequenta la II liceo classico (cioè la quarta superiore) al Bagatta di Desenzano, dopo aver frequentato la prima media a Brescia, la seconda e la terza media, il ginnasio e la prima liceo a Forlì. Si diploma a soli 17 anni nell’autunno 1953, senza aver frequentato l’ultimo anno di liceo. Per compiacere il desiderio del padre si iscrive alla facoltà di Fisica ma ben presto, non sentendosi portata, opta per Medicina all’Università di Milano. Quasi totalmente sorda e costretta ad usare un bastone per le difficoltà motorie, Benedetta si fa accompagnare dall’amica Anna che risponde al suo posto all’appello dei professori. Non mancano le umiliazioni, come quando ad un esame un professore lancia lontano il libretto universitario dicendo: «Non si è mai visto un medico sordo!». Grazie all’intervento del rettore gli studi proseguono ma le condizioni di salute peggiorano e nel ’57, dopo numerosi consulti medici, è lei stessa a diagnosticare il male di cui soffre: neurofibromatosi diffusa (morbo di Recklinghausen). Operata alla testa, rimane paralizzata a metà del volto e questo la obbliga a tornare in sala operatoria e ad interrompere momentaneamente gli studi. Con grande forza di volontà riprende gli studi dopo aver lavorato nel periodo estivo come assistente di laboratorio alle terme di Sirmione, ma le condizioni di salute peggiorano irrimediabilmente. Nell’agosto ’59 viene operata al midollo e rimane completamente paralizzata agli arti inferiori, costretta dapprima alla poltrona poi a rimanere a letto, perdendo via via anche gli altri sensi. Le è accanto Maria Grazia e molti amici vanno a trovarla e stanno con lei, mentre altri le scrivono. Nel 1962 si reca a Lourdes con l’Unitalsi. Fa voto, in caso di guarigione, di farsi suora e nel frattempo consola altri malati. Arrivata ad avere una minima sensibilità solo nella mano destra, dopo altre operazioni inutili diventa pure cieca. Ritorna a Sirmione e comunica con gli altri con un filo di voce rimastale e grazie a un alfabeto convenzionale trasmessole sulla mano. Alla fine di giugno del 1963 è di nuovo pellegrina a Lourdes dove scopre la propria vocazione alla croce che è però un mistero di luce. Il 23 gennaio 1964, mentre una rosa bianca fiorisce nel giardino, Benedetta rese la vita a Dio sussurrando un "grazie". Seppellita a Dovadola, il 22 marzo ’69 la salma venne traslata nella chiesa della Badia. Il processo diocesano per la sua beatificazione venne aperto nella diocesi di Forlì-Bertinoro il 25 gennaio 1976. Il 23 dicembre 1993 venne dichiarata venerabile. Il miracolo che la porterà ad essere iscritta nell'albo dei beati ha riguardato la guarigione improvvisa di Stefano Anerdi, ventenne genovese che in seguito ad un incidente automobilistico avvenuto il 21 agosto 1986 andò in coma e si risvegliò il 3 settembre dopo la decisione di parenti e amici di intraprendere una novena di preghiera a Benedetta.

Don Giovanni Ciresola viene alla luce il 30 maggio 1902 a Quaderni di Villafranca, dodicesimo e ultimo figlio di Francesco e Francesca Maria Castelli. A causa delle difficoltà economiche famigliari si trasferisce prima a Montorio, quindi a Madonna di Campagna. Rimasto orfano di madre all’età di 6 anni, dopo le elementari viene accolto al Don Mazza e frequenta le medie in Seminario. Nel ’19 frequenta la quarta ginnasio all’Istituto don Bosco, quindi nel 1920-21 si trasferisce nel noviziato salesiano a Schio ma per la salute cagionevole venne rimandato in famiglia. Decisivo sarà per lui l’incontro con don Giovanni Calabria che sarebbe stato il suo direttore spirituale per 34 anni. Il futuro santo della carità lo indirizza in Seminario dove, dopo diverse vicissitudini, completa gli studi venendo ordinato prete il 10 luglio 1927. Per un breve periodo vicario cooperatore a San Tomaso Cantuariense, quindi curato a Ca’ del Bue e poi ad Avesa. Nominato nel 1932 parroco di Cancello, il Ciresola nel 1936 accoglie il desiderio di consacrarsi a Dio manifestato da un gruppo di ragazze dell’Azione Cattolica della contrada di Caiò. Dopo 12 anni il Cenacolo della Carità inizia l’esperienza di vita religiosa comunitaria nella casa madre di San Zeno di Colognola ai Colli e nel 1958 la Congregazione delle Povere ancelle del Preziosissimo Sangue-Cenacolo della Carità ottiene l’approvazione canonica, vivendo il carisma dell’offerta della propria vita per l’incremento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata e per la santificazione del clero. Nel 1939 don Ciresola per alcuni mesi diventa rettore di Santa Maria Immacolata, in Borgo Milano, dove costruisce la chiesa, quindi viene nominato parroco di Poiano e nella Valpantena si distingue per generosità, dedizione e zelo pastorale negli anni duri della guerra, dando ospitalità ad Ada Rimini, di religione ebraica, e aiutando altre persone a trovare rifugio dalla persecuzione nazifascista. Per l’aggravarsi delle condizioni di salute, nel 1961 si ritira nella casa generalizia di Quinto e tre anni dopo l’istituto si apre alla dimensione missionaria in America Latina. Muore a Negrar il 13 aprile 1987.

Ad Avesa, a quel tempo comune autonomo, nacque il 10 aprile 1909 Luigi Bosio. Indirizzato in Seminario, durante la formazione teologica fu ospitato nel monastero benedettino di Praglia per un breve periodo che lasciò nella sua vita un segno profondo in quella dimensione contemplativa che egli saprà fondere con la dimensione pastorale tipica del prete diocesano. Ordinato presbitero il 1° novembre 1931, fu per cinque anni vicario parrocchiale di Legnago, quindi rettore di Presina e primo parroco. Ogni sua attività pastorale aveva nel tabernacolo sia il punto di partenza che quello di arrivo. Dal 1940 al ’69 fu parroco di Belfiore dove si dimostrò fine e competente liturgista, come dimostra la nuova chiesa da lui voluta e realizzata secondo le sue precise indicazioni. Fu l’amico don Ciresola, che era stato suo curato ad Avesa ed è stato dichiarato venerabile nella stessa circostanza temporale, a consegnargli la lettera di nomina del vescovo (e pure venerabile) Giuseppe Carraro a canonico del Capitolo della Cattedrale. Una promozione che di fatto fu anche una rimozione. Ma mons. Luigi non si perse d’animo, continuando nel confessionale della Cattedrale, sempre affollato di penitenti, e nella direzione spirituale di molti fedeli quell’attività di pastore e uomo di Dio che si ispirava alla Sacra Scrittura, ai Padri della Chiesa, ai mistici, ai maestri di spiritualità e al messaggio che scaturiva dalla liturgia. Morì in fama di santità il 27 gennaio 1994. Sepolto inizialmente al Cimitero monumentale, nel marzo 2013 le sue spoglie furono traslate nella cripta della Cattedrale – Memoriale dei Vescovi veronesi. Il processo diocesano per la sua beatificazione e canonizzazione si è svolto dal 25 gennaio 2009 al 29 gennaio 2012.

Tutti i diritti riservati
Una terna diocesana sulla via della santità
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento