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L’attualità e le sfide del diaconato permanente

di DON ALESSANDRO SCARDONI 

A 50 anni dalla sua riproposizione, è un ministero che ha il suo fulcro nella carità. Ecco una riflessione sul tema

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L’attualità e le sfide del diaconato permanente

di DON ALESSANDRO SCARDONI *

La presenza e il servizio di diaconi permanenti nelle comunità cristiane sta diventando sempre più familiare; séguito della volontà della Chiesa di vederne la ricomparsa, preconizzata nei documenti conciliari Lumen Gentium e Ad Gentes e sancita da Paolo VI, che dava facoltà alle singole Conferenze episcopali di muoversi in tale senso.

In Italia la richiesta venne formulata e accolta cinquant’anni fa, nel 1971. La riappropriazione non si è però rivelata facile, trattandosi di un grado dell’Ordine che per secoli era stato pensato solo come passaggio transeunte all’ordinazione sacerdotale, infiacchendone molto il senso e il peso. Lo stesso Concilio Vaticano II sembrava in alcuni passaggi aprire al nuovo corso secondo una logica fondamentalmente di supplenza, sia relegando il diaconato all’ultimo posto, che connettendo strettamente la svolta alla diminuzione dei preti. Si immaginava addirittura – figurarsi! – la costituzione di appositi seminari, sulla falsariga di quelli per la formazione presbiterale.

I vari documenti magisteriali, che hanno via via punteggiato la riproposizione, hanno chiarito che il servizio si estendeva sia all’annuncio/insegnamento, che all’ambito liturgico, che al governo nella comunione, restando tipiche le opere di carità e l’animazione della comunità. L’attenzione ecclesiale su questo ministero resta tuttora ben viva, come testimoniano le recenti discussioni al Sinodo sull’Amazzonia, relativamente a funzioni pastorali più esplicite e dirette e all’apertura ad una diaconia femminile.

Posta la premessa storica e documentale, abbozzo una riflessione teologica in argomento. Oggi l’urgenza maggiormente avvertita, dagli ormai numerosi ministri ordinati, è quella di una più solida definizione di un proprio statuto teologico e giuridico, non dipendente dalle sensibilità e concessioni variabili di vescovi e preti. Appurato e precisato – fatto non scontato – che l’imposizione delle mani è per una diaconia che ha il suo fulcro nella carità, da cui prende corpo l’annuncio, e che domanda una visibilizzazione liturgica, delineo tre ulteriori possibili direttrici per una futura stabilizzazione.

Il primo tassello inerisce il far sempre più posto ad una Chiesa umile e semplice, per e con i poveri e i piccoli. È un atteggiamento che non è mai mancato nella storia cristiana, ma che forse non si è ancora fatto principio primo. Fare la carità si è spesso inteso come buona azione, da compiere in certe situazioni, chi più e chi meno, in ragione del venir meno di condizioni di giustizia. Ciò è molto onorevole, ma ci dev’essere di più, ossia porre i piccoli al centro (Mt 18,2). E solo uno stile di spoliazione dispone a mettere a pieno frutto, per tutti, il bene che le risorse offrono. Il diaconato permanente è allora pensabile come fortunata occorrenza storica per rinnovare, nel senso dell’umiltà e del servizio, l’intera comunità dei credenti. Dalla carità si genera il servizio alla missione evangelizzatrice.

La Chiesa e il cristiano non possono essere tali senza sentirsi discepoli inviati, in uscita. E sono innumerevoli le situazioni e le persone a cui andare, a partire dai giovani. Portare il Vangelo è oggi particolarmente declinabile come favorire condizioni in cui fioriscano maturità generative, umanamente integrate e integrali. Inoltre, le sfide cruciali che ci aspettano come famiglia umana chiedono ai credenti una speciale disposizione alla cooperazione, alla corresponsabilità, alla solidarietà, alla compassione. Il ministero del diacono permanente offre anche in questa prospettiva un’occasione da cogliere. L’ordinato potrà essere specificamente mandato ad individuare, curare, far crescere germi di bene seminati ovunque e sarà insieme testimone di quell’umanità nuova che solo l’incontro con il Signore Gesù riesce pienamente a far sbocciare.

La terza suggestione riguarda lo sviluppo di una Chiesa sinodale. La presenza dei diaconi può far sì che non si pensi ad un’operazione di facciata, ma che si assuma un habitus permanente di ascolto e dialogo. Dare spazio a tutte le voci è tanto importante quanto il compito che è richiesto ai pastori di accompagnare il popolo, in docilità al vero Pastore. Certo, a questo punto potranno lecitamente venir ripensate le modalità, le funzioni e le diverse responsabilità nel discernimento.

Per completare il discorso, aggiungo qualche altro concreto e conseguente quesito su cui la riflessione in merito si misura. Tra i più rilevanti: quale tipo di formazione per tale ministero? Quale specifico contributo proviene al diacono dall’essere prima di tutto padre e marito? Quali possono essere le modalità di coinvolgimento delle mogli e di condivisione con i figli? Come commisurare servizio diocesano e parrocchiale? Come concretamente sviluppare l’interazione con i preti e con il vescovo? Mi pare probabile, al di là di ogni personale opinione, che il futuro prossimo della Chiesa intersecherà molto la comprensione e lo sviluppo del diaconato permanente

* Docente Studio teologico San Zeno e collaboratore formazione diaconi

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