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Intervista al neo-cardinale Claudio Gugerotti

di ALBERTO MARGONI

Gli abbiamo chiesto del suo impegno con le Chiese orientali: serve studiare la storia, dice

Parole chiave: Claudio Gugerotti (2), Cardinale (11), Chiesa (182), Verona (223)
Intervista al neo-cardinale Claudio Gugerotti

di ALBERTO MARGONI

In occasione della sua recente venuta a Verona, per la sua prima Messa nella chiesa madre della sua diocesi di origine (nella foto), abbiamo incontrato il neo-cardinale veronese Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, e l'abbiamo intervistato. 

– Eminenza, la sua nomina cardinalizia potrebbe sembrare naturale per via dell’incarico che riveste nella Santa Sede. Ma immagino che per lei abbia anche un significato ulteriore...

«Il senso profondo che ho vissuto è proprio quello di una particolare vicinanza al Papa e una discreta collaborazione nell’attività che si svolge. Il testo liturgico della consegna dell’anello ai cardinali è uno dei più belli per esprimere questo significato. Dice infatti: “Ricevi l’anello dalla mano di Pietro e ricordati che, attraverso l’amore del Principe degli Apostoli, cresce il tuo amore per la Chiesa”. Il ruolo di Pietro è quello di essere catalizzatore dell’amore di Dio e il fatto che lui ti abbia scelto, implica anche che ti permetta questo amore in modo che tu ne venga rinforzato e rinsaldato. Questo è il senso del cardinalato, oltre a quello ben noto della disponibilità a dare la vita fino all’effusione del sangue, che una volta poteva essere un’immagine molto metaforica, ma oggi rischia di essere una possibilità molto concreta».

– Il Santo Padre, nell’omelia del Concistoro, ha utilizzato l’immagine dell’orchestra. C’è uno strumento musicale che magari sa suonare o che comunque sente particolarmente affine alla sua persona e adatto a descrivere la sua missione?

«Ho imparato a suonare il flauto traverso solo per il periodo in cui mi hanno dato il pezzo della testata per imparare a indirizzare il fiato. Inoltre ho studiato pianoforte per parecchi anni, ma lo strumento che per me “canta di più” è l’oboe. Esso è ad un tempo segno di profondità e di commozione. Se dunque dovessi scegliere uno strumento nella sinfonia di cui ha parlato il Papa, opterei per l’oboe che forse, pensandoci bene, è anche il suono delle Chiese orientali».

– Dopo la guerra in Ucraina è improvvisamente riesploso il conflitto israelo-palestinese, senza dimenticare la situazione nel Nagorno-Karabakh, in Siria e tanti altri focolai accesi nel mondo. Qual è l’azione posta in atto dal suo Dicastero in questi contesti difficili?

«Tutti questi luoghi sono sotto la giurisdizione del mio Dicastero ma, sia ben chiaro, non esiste un rapporto tra le Chiese orientali e le guerre! Il punto fondamentale è che se oggi si realizza una smagliatura nel tessuto, esso si distrugge. Tutte queste guerre hanno una matrice comune, che poi arriviamo o ci aiutino a conoscerla è un altro discorso. Il problema fondamentale è che non si studia più la storia. Sappiamo quanto è successo con l’irruzione di Hamas, ma tutti i problemi tra Israele e i palestinesi che nascono dal Dopoguerra e, per gli ebrei, dalla terribile sorte che hanno subìto durante l’Olocausto, fanno parte di un’unica storia. Le Chiese costituiscono una forte carica di memoria, perché la Chiesa per sua natura recepisce la memoria dei propri popoli, quelli orientali in modo particolare, e quindi occuparsi di queste Chiese ti dà una chiave in più per capire cosa sta succedendo e forse per individuare un passo possibile in vista di una soluzione o quantomeno di un allentamento della tensione. Di fatto oggi non è più il tempo delle scaramucce locali. Tanti sono i fattori in gioco, tra i quali l’industria bellica, la politica, il mercato… Tutto questo determina una serie di effetti concatenati che poi deflagrano nei punti in cui o la trama è più debole o si decide che proprio lì debbano scoppiare. Quasi sempre si tratta di situazioni antiche di instabilità che però in quel momento vengono buone perché essendo già caldo il fuoco sotto le ceneri, basta soffiare e si attizza».

– Come se ne esce da tutto questo?

«Anzitutto bisognerebbe comprendere che non basta valutare soltanto i tasselli, ma occorre mettere insieme il mosaico. Questo è compito della cultura che non è certamente in auge nei nostri tempi. Uno degli elementi fondamentali – e lo dico anche da mazziano – è dunque aiutare a capire. In secondo luogo si tratta di aiutare le persone a parlarsi in modo da comprendersi, perché un occidentale che va a colloquiare in quelle terre crede di utilizzare una lingua comune, ma in realtà c’è una discrepanza culturale e quindi le categorie utilizzate sono assai diverse. La cultura è l’elemento fondamentale per fornire una chiave in più alla soluzione di molti problemi. Inoltre per noi c’è la percezione del valore assoluto della persona umana che in questo momento non conta niente, ma per il cristianesimo è un elemento sacro visto che Dio si fa carne e, ancor prima, ogni uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Quindi l’impegno per la pace non è opzionale, legato alla bontà, ma è parte integrante della questione riguardante la dignità della persona umana. E la Chiesa in questo ha una voce specifica che le viene riconosciuta da tutti coloro che hanno capacità di comprendere».

– In queste settimane si sta svolgendo l’Assemblea generale ordinaria del Sinodo sulla sinodalità. Come sta andando?

«Pur non avendo potuto partecipare a tutti gli incontri a causa di una leggera indisposizione, la mia impressione è che ci stiamo ancora tastando, cioè ognuno sente di esprimere ciò che ha portato con sé dal luogo di provenienza. Bisognerà quindi vedere se già in questa prima parte oppure l’anno prossimo si riuscirà ad organizzare o a percepire la sinfonia, cioè il fatto che le singole voci convergono in una coralità che può essere anche divergente o dissonante in alcuni momenti (del resto nella musica vi è anche la dodecafonia), ma è fondamentale mettere insieme questo tesoro che soltanto una Chiesa che sia anche fisicamente universale, quindi cattolica, è in grado di gestire. Perché una Chiesa nazionale è sempre tendenzialmente di parte. Questa è la nostra forza, naturalmente nei modi e nei tempi che lo Spirito deciderà».

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