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«Essere cattolici in Egitto: dialogare senza negare l'identità

La trentennale esperienza del combinano padre Lurati in un Paese complicato

Parole chiave: Egitto (2), Chiesa (182), Dialogo (5)
«Essere cattolici in Egitto: dialogare senza negare l'identità

È il 1989 quando padre Claudio Lurati, sacerdote comboniano, visita per la prima volta Il Cairo, in Egitto. L’impressione non è delle migliori: «Un caldo insopportabile, una lingua difficilissima e un unico pensiero: non verrò mai a lavorare qui». L’ironia del destino vuole che, sei anni dopo, al sacerdote venga chiesto di andare a esercitare il proprio ministero in quel Paese.
Dopo aver passato i primi due anni a studiare l’arabo, per altri dieci svolge opere di apostolato tra i numerosi profughi cattolici arrivati dal Sudan. Con il tempo conosce le tradizioni e i costumi egiziani, costruisce nuove relazioni e si innamora della diversità religiosa del Paese: nasce così un legame speciale. Dopo essere tornato in Italia e aver svolto l’incarico di economo a Roma, ad agosto 2020 papa Francesco lo nomina Vicario apostolico (cioè Vescovo) di Alessandria. È la storia, legata a doppio filo alla terra dei faraoni, che padre Lurati racconta ai “Martedì del mondo”, il ciclo di incontri organizzato da Fondazione Nigrizia, Centro missionario diocesano, Combonifem e Cestim.

Crocevia tra Africa, Europa e Medio Oriente, l’Egitto è un mosaico di religioni. Circa il 90% della popolazione è musulmana sunnita, con una piccola minoranza sciita. Il restante 10% è cristiana: una comunità di quasi dieci milioni di persone, la più grande del Nord Africa e del Medio Oriente, con radici antichissime. La maggior parte dei cristiani è copta ortodossa. I cattolici sono una minoranza nella minoranza, a loro volta divisi per riti: copto, greco-melchita, siriaco, caldeo, armeno-cattolico, maronita e, infine, latino. Padre Lurati è stato nominato vescovo dei cattolici di rito latino, poco più di 60mila persone, di cui circa il 50% composto da profughi sudanesi, il 15% da egiziani e il restante 35% da lavoratori provenienti da tutto il mondo.
Secondo padre Lurati (che verrà ordinato vescovo il 30 ottobre), per poter dare testimonianza della propria fede in un contesto così eterogeneo è importante imparare a conoscere e amare la diversità. Si tratta di avere lo stesso spirito che ebbe san Francesco quando, nel 1219, si recò in Egitto per dialogare con il sultano Al-Kamil: “Essere soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio”, evitando inutili dispute e litigi, senza però negare la propria identità. Come ricordato da papa Francesco nella recente enciclica Fratelli tutti, il santo d’Assisi raccomandava ai suoi frati “di evitare ogni forma di aggressione o contesa e di vivere un’umile e fraterna ‘sottomissione’, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede”. San Francesco “non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”.
Per padre Lurati il principio è ancora valido: «Bisogna essere consapevoli che questa diversità non sarà mai completamente riconducibile a noi: è più importante condividere il destino del prossimo, imparando a guardarlo con gli occhi di Cristo, che avere la pretesa di inserire qualcuno nel prossimo registro dei battesimi». Concetti teologici che in Egitto diventano esperienze di vita quotidiana, normali come le relazioni tra musulmani e cristiani in scuole, ospedali e luoghi di lavoro.

Un dialogo semplice e concreto al quale si affiancano aperture più istituzionali, come la firma del documento sulla Fratellanza umana, avvenuta nel febbraio 2019. Il testo, pietra miliare nel cammino di avvicinamento tra cattolici e musulmani, è stato elaborato e riconosciuto da papa Francesco e da Ahmad al-Tayyib, Grande Imam egiziano dell’università di al-Azhar, il centro culturale probabilmente più influente e importante dell’Islam sunnita. Nonostante i numerosi passi in avanti, la strada del dialogo è ancora lunga e la libertà religiosa nel Paese rimane problematica. Anche se il diritto viene formalmente riconosciuto dalla Costituzione, la conversione è spesso vista di cattivo occhio a causa delle forti pressioni familiari e sociali: chi ha il coraggio di cambiare religione, va incontro a una vita piena di ostacoli. Ancora oggi la presenza dei cristiani in Egitto è osteggiata da diversi gruppi fondamentalisti legati ai Fratelli musulmani, un movimento politico-religioso nato proprio nel Paese nel 1928. La comunità cristiana è spesso vittima di sanguinosi attacchi terroristici. Dopo la Primavera araba e le insurrezioni di piazza che avevano portato alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak nel 2011, il destino dei cristiani divenne particolarmente incerto.
Nel gennaio del 2011 un gruppo di terroristi islamisti uccise 23 copti al termine di una Messa ad Alessandria. Le elezioni peggiorarono la situazione: portarono all’elezione di Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, che tentò una islamizzazione del Paese promuovendo l’introduzione della legge coranica della Sharia. Nel luglio del 2013, un colpo di Stato portò al comando il generale Abdel Fattah al-Sisi: il cambio di regime ottenne il consenso di diverse Chiese cristiane. Da allora, il presidente egiziano ha combattuto duramente il terrorismo islamico e ha usato la mano pesante con i Fratelli musulmani, mettendone al bando le attività e uccidendo centinaia di dirigenti.
La relativa sicurezza di cui ora godono le minoranze religiose è arrivata a caro prezzo. Oggi l’Egitto è guidato da un regime autoritario, che esercita una brutale repressione interna di ogni forma dissenso ed è colpevole di palesi violazioni dei diritti umani. Secondo l’ong Human Rights Watch, in Egitto ci sono oltre 60mila prigionieri politici, tra cui attivisti, giornalisti e avvocati. Centinaia, o forse migliaia di persone sono tenute in detenzione preventiva. A pesare, per l’Italia, anche l’omicidio del ricercatore Giulio Regeni – in circostanze mai del tutto chiarite ma che, secondo alcune ipotesi, vedrebbero il coinvolgimento dei servizi segreti egiziani – e la detenzione di Patrick Zaki, attivista e studente dell’Università di Bologna arrestato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio, senza motivo apparente. Un contesto complicato in cui operare, che richiede missionari coraggiosi e prudenti, innamorati del Vangelo ma preparati per leggere con intelligenza le complesse dinamiche sociali, religiose e politiche che attraversano il Paese. 

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