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Spesa sociale, cosa non funziona?

di NICOLA SALVAGNIN

Fa venire i brividi la lettura del Rapporto sulla povertà in Italia appena presentato dalla Caritas

Parole chiave: Povertà Caritas (1), Rapporto povertà in Italia (1), Isee (1), Bonus (2), Welfare (13), Spesa sociale (2)
Su una lavagnetta posta su scrivania compare la scritta "Bonus"

di NICOLA SALVAGNIN

Fa venire i brividi la lettura del Rapporto sulla povertà in Italia appena presentato dalla Caritas. Perché si certifica che il numero di persone in situazione di indigenza è in continuo aumento, e sta raggiungendo quota 6 milioni di individui. Quasi un italiano su dieci. Soprattutto colpisce il numero di persone che per la prima volta si sono rivolte alle strutture della Caritas per chiedere aiuto: segno che pandemia, crisi economica e conseguenze della guerra in Ucraina si stanno facendo sentire.
Peggio ancora: il futuro prossimo sarà peggio di oggi, è una certezza. Il caro-bollette infatti non promette nulla di buono.
Eppure dai bilanci dello Stato risulta che la cosiddetta “spesa sociale” (al netto di certe voci) è in costante, anzi deciso aumento dal 2008 ad oggi: dai 73 miliardi di euro di allora si è arrivati a quota 150 miliardi. E nei soli due anni di pandemia c’è stato un aumento di ben 35 miliardi!
Qui casca l’asino. Lo Stato spende di più in “welfare allargato”, e i poveri invece aumentano. Segno che qualcosa non va. E cosa non vada, è presto detto.
La spesa è imponente, ma solo in quantità. Sulla qualità appunto c’è molto da discutere, se la povertà assoluta non viene contrastata (anzi!) e se d’altra parte quasi un italiano su due risulta percettore di “sussidi sociali”: quindi troppi soldi dati a chi non ne ha bisogno. Perché dentro a quella spesa ci si accorge che in realtà si guarda ad altro.
A cosa? Per esempio a sostenere determinate filiere economiche – dall’edilizia soprattutto agli arredamenti, dalle biciclette alle auto, dagli psicologi ai giardinieri… –, con un sistema basato su bonus che guardano più a promuovere la vendita di certi prodotti o servizi, che ad aiutare chi è in difficoltà economica. O vogliamo considerare “sussidio sociale” il bonus regalato a chiunque acquisti un televisore di ultima generazione, rottamando il vecchio?
E qui spunta un altro destinatario eccellente: l’elettore. Che magari non è povero, ma che poi non dimentica davanti all’urna. O così almeno pensa chi s’inventa determinate spese “sociali”.
Per non parlare infine dell’Isee, l’indicatore che valuta la situazione economica della famiglia che richiede un sussidio. Valuterebbe sia il reddito che il patrimonio: inutile dire che chi evade le tasse, risulta poco o nullatenente. E che se la compilazione dell’Isee fosse sempre veritiera per tutti, un bel po’ di “indigenti” sparirebbe per magia. Almeno valutando le reali consistenze patrimoniali degli italiani.
Si può riordinare ottenendo una spesa sociale anche inferiore, ma sicuramente più efficace? Sì. Ma si vorrà farlo?

Fonte: Sir
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