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Se i posti liberi non trovano lavoratori

di NICOLA SALVAGNIN
Oltre 400mila in Italia, almeno 8mila nel Veronese: la ripresa c'è, ma mancano troppe "figure" 

Parole chiave: Lavoro (62), Economia (128)
Se i posti liberi non trovano lavoratori

di NICOLA SALVAGNIN
Oltre due milioni di disoccupati ufficiali; un milione 220mila percettori di reddito di cittadinanza. Eppure le stime di dicembre 2021 parlavano di un dato clamoroso: in tutta Italia ci sono circa 400mila posizioni lavorative che non trovano qualcuno che le “occupi”. Un dato che cresce di mese in mese, grazie a una ripresa economica quasi clamorosa – il Pil è cresciuto del 6,5% – e di un’ondata di dimissioni dalle cause più varie. Si cerca un’occupazione più redditizia, più consona alle proprie esigenze e alla propria formazione; in più sta emergendo il problema dei No-vax che preferiscono stare a casa in aspettativa senza stipendio, piuttosto che vaccinarsi e ottenere il Gren pass per lavorare. 
Una situazione – quella di un’offerta di lavoro che non incontra la domanda – particolarmente acuta nel Nordest. Nel Vicentino quasi un’azienda su dieci dichiara di non trovare il personale necessario; a Verona si parla (anche in queste pagine) di 8mila posti senza lavoratori. Almeno. Questo sta diventando un grosso problema. Molte aziende non riescono a stare dietro agli ordini, faticano nella gestione ordinaria, non pianificano nuovi investimenti che non troverebbero il personale necessario; vanno in crisi se certe figure specializzate vengono a mancare: dai gruisti ai montatori di macchinari. Siamo arrivati al paradosso di una scuola che assume docenti giovanissimi per colmare i buchi soprattutto nelle materie tecniche e scientifiche. Infine i Comuni stanno chiedendo al Governo di poter fare assunzioni temporanee per concretizzare le opere connesse al Pnrr: cercano figure tecniche, non ne trovano proprio. 
Il punto è questo: mancano “tecnici”, non filosofi o storici dell’arte. L’immigrazione extracominutaria è in forte declino; gli stranieri presenti in Italia in parte sono tornati a casa loro causa pandemia. Nelle scuole (sempre meno frequentate dai giovani: ecco cos’è il declino demografico) c’è una forte presenza di liceali, ma non di frequentatori di istituti tecnici. Anche se gli ultimissimi dati sembrano in controtendenza, con un boom di pre-iscrizioni nelle scuole professionalizzanti: si sta realizzando il fatto che il mondo del lavoro è alla disperata ricerca di queste figure, la lunga disoccupazione non è certo una prospettiva.
È un problema, quello dell’incontro tra aspiranti lavoratori e aziende, che interessa l’intera Europa. La Brexit ha di fatto “cacciato” in non britannici dal suolo inglese: adesso lì mancano oltre un milione di lavoratori e molti settori industriali sono in forte difficoltà. Ma per l’Italia la questione è anzitutto culturale: paghiamo l’aver snobbato l’istruzione tecnica, meno “illustre” di quella liceale. Paghiamo soprattutto la questione femminile: se quasi tutte le ragazze oggi si presentano di fronte al mondo del lavoro, quasi tutte lo fanno con titoli di studio che in Italia sono considerati “consoni” al mondo femminile. O con specializzazioni tecniche limitate all’estetica, alla cura della persona, alle vendite e alla contabilità.
Questo deve spingere ragazzi e famiglie a considerare con più attenzione il loro percorso formativo. Perché il mondo del lavoro si sta dividendo tra i troppi che intasano poche mansioni sotto-pagate, e i pochi che trovano lavoro in un amen e che possono aspirare a carriere e guadagni di tutto rispetto. Nel frattempo, mancano chimici all’industria agroalimentare, saldatori, camionisti e autisti, piastrellisti, cartongessisti, montatori d’arredi, sviluppatori di software industriali, operai specializzati di qualsiasi tipo... 

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