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Se è ancora buono, il cibo alimenta le persone e “affama” lo spreco

di ADRIANA VALLISARI
I trent’anni di attività del Banco alimentare, nato da un’idea lungimirante

 

Se è ancora buono, il cibo alimenta le persone e “affama” lo spreco

Da trent’anni raccoglie alimenti ancora buoni, ma non commercializzabili, e li destina alle strutture caritative che, a loro volta, aiutano chi fatica a fare la spesa o a mettere un pasto in tavola. Il Banco alimentare del Veneto compie 30 anni e continua a portare avanti il suo modello virtuoso: qui ciò che altrimenti finirebbe sprecato, riacquista valore e diventa ricchezza per chi ha troppo poco.
La scorsa settimana, nel magazzino di via Torricelli, in Zai, si sono radunati per l’occasione 224 commensali, imprenditori del mondo della ristorazione e della grande distribuzione (e non solo), per festeggiare questo traguardo e sostenere il Banco. Un colosso della solidarietà, come si evince dai numeri: dal 1993 a oggi ha distribuito 93.486 tonnellate di cibo, l’equivalente di 5.194 autoarticolati, contribuendo a fornire 187 milioni di pasti tramite migliaia di organizzazioni che accolgono persone in condizioni di bisogno. «Noi viviamo di provvidenza e avere dei sostenitori che ci supportano è fondamentale», sottolinea la presidente Adele Biondani, figlia di quel Guido, scomparso nel febbraio dell’anno scorso, che ebbe l’intuizione di metterlo in piedi dopo aver visto buttare in discarica dei bancali di sughi solo perché c’era un’etichetta rovesciata.
– Quale fu la scintilla che fece mobilitare suo padre, a lungo presidente del Banco?
«L’idea di recuperare il cibo per condividere il bisogno di non sprecare. E questo da un lato dava delle risposte a chi aveva fame, dall’altro aiutava le aziende a gestire le loro eccedenze. Non lo inventò lui, ma ebbe il coraggio di importare questo sistema e la persistenza di portarlo avanti negli anni. Una food bank, banca del cibo, era nata nel 1967 in America da un’intuizione di John Van Hengel, che iniziò a raccogliere il surplus dei ristoranti per donarlo ai poveri della sua città. Sviluppò il modello in vari Stati americani e raggiunse anche la Spagna; lì vi si imbatté Danilo Fossati, fondatore della Star, che fondò il Banco alimentare in Italia nel 1989, aiutato da mons. Luigi Giussani, promotore del movimento cattolico Comunione e liberazione. Mio papà iniziò in quegli anni, dando vita, il 14 giugno del 1993, all’associazione Banco alimentare del Nord-Est».
– Di fatto, avete applicato il concetto di sostenibilità anzitempo...
«Siamo stati lungimiranti, sì. Questo è diventato il nostro lavoro quotidiano e lo possiamo continuare a svolgere perché abbiamo tante aziende e associazioni che ci permettono di farlo. Verona e il Veneto sono un territorio così ricco di volontariato che ci permette di evolvere e di continuare a raccogliere. Perciò i festeggiamenti per i nostri 30 anni sono iniziati con la sesta cena con imprenditori e professionisti e si concluderanno l’ultima settimana di settembre con una festa coi volontari di ogni provincia in cui siamo presenti. Sono proprio i volontari il motore portante dell’associazione: ne abbiamo 195 e solo 6 dipendenti. A condensare la bellezza del Banco, poi, saranno un video istituzionale e un album dei ricordi realizzato da un gruppo di fotografi guidati dal veronese Luciano Perbellini, che avrà la prefazione di Bruno Vespa».
– Come funziona questa catena virtuosa?
«Ritiriamo e recuperiamo dalla filiera agroalimentare tutto quello che è perfettamente commestibile, ma non più commercializzabile (non solo lo scaduto o ciò che sta per scadere, ma anche prodotti stagionali o prove di prodotto). Poi lo diamo a 451 associazioni partner che assistono le persone con difficoltà sul territorio veneto, come la Caritas e la San Vincenzo, per restare nel mondo cattolico. Nel 2022 hanno raggiunto 84.600 persone in difficoltà».
– In 30 anni siamo diventati più attenti allo spreco di cibo?
«C’è stata una grande crescita di attenzione verso chi è in difficoltà, accompagnata via via da una maggior sensibilità allo spreco e alla cura dell’ambiente. L’esplosione si è registrata nel periodo del Covid: sono stati anni orribili, ma con dei lati positivi, come la maggior coscienza del bisogno dell’altro. L’abbiamo toccato con mano nelle donazioni e con l’arrivo di nuovi volontari, di cui siamo sempre alla ricerca. Ora, ad esempio, ci occorrono per darci una mano a incontrare quante più aziende possibili, perché l’aumento del costo della vita e la contrazione delle produzioni hanno ridotto la possibilità di recuperare, quindi va implementato ancor di più il rapporto con le aziende. Per questo abbiamo siglato pure un accordo con Confindustria Verona e siamo in dialogo con Confindustria Vicenza».
– La chiave è essere sempre più capillari?
«Esatto. Anche perché metà dei prodotti del Banco derivano dalla raccolta nel mondo dell’industria alimentare, grande distribuzione organizzata e filiera agricola; l’altra metà arriva dall’Unione Europea, con le derrate alimentari destinate agli indigenti. A fianco di questi canali, col progetto “Siticibo” che ha vent’anni e sta crescendo molto in Veneto, coordiniamo la raccolta di alimenti freschi e cotti dalla ristorazione e dalla Gdo. Mi spiego meglio: c’è un prodotto disponibile ma in quantità modeste, che non giustificherebbe l’uscita di un nostro mezzo? Allora noi mettiamo in contatto l’associazione del quartiere col supermercato vicino, affinché ritiri quello che altrimenti andrebbe buttato. Lo stesso vale per le mense aziendali e le eccedenze dei catering aziendali: sono azioni che, messe insieme, fanno la differenza».
– Un sogno per i prossimi 30 anni del Banco alimentare?
«L’augurio è di avere sempre più volontari e sempre meno persone da assistere. Inoltre, stiamo aumentando la nostra presenza nelle province più lontane rispetto a Verona: abbiamo preso un capannone più grande a Padova, in modo che le piccole associazioni non debbano fare troppa strada per approvvigionarsi da noi». 

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