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Gli infermieri: se mancano loro si ferma tutto

di ADRIANA VALLISARI
Carenze in ospedali e case di riposo: a breve serviranno mille lavoratori

Gli infermieri: se mancano loro si ferma tutto

di ADRIANA VALLISARI
La carenza di personale sanitario non interessa solo i medici: se ne parla poco, eppure la grave scarsità – che si registra già oggi, ma che nel prossimo futuro peggiorerà – riguarda anche il mondo degli infermieri. Figure, queste, fondamentali non solo per il buon funzionamento degli ospedali, ma anche per garantire i servizi di cura sul territorio, dall’assistenza domiciliare alle residenze per anziani.
Sono 7.500 gli infermieri iscritti all’albo professionale veronese, presieduto da Franco Vallicella, che avendo ben chiaro i numeri lancia un monito: «Entro i prossimi tre anni, mille infermieri a Verona e provincia matureranno i requisiti per andare in pensione, ma non ci saranno mille nuovi infermieri a sostituirli». Sarà un bel problema. Non solo per la categoria, ma per tutto il servizio sanitario, visto che l’infermiere è un anello di congiunzione fondamentale nella sanità. «Da tempo abbiamo avvisato di questa difficoltà in arrivo, sottolineando come la carenza di personale infermieristico non sia un problema soltanto degli infermieri, ma di tutto il sistema – dice –. In Italia ne mancano 65mila: numeri che sono stati prospettati alla politica da tempo e che non hanno sortito interventi di alcun tipo, se non l’aumento dei posti disponibili ai corsi di laurea di Scienze infermieristiche, senza creare davvero le condizioni per rendere attrattiva questa professione».
Proprio l’attrattiva, sia come retribuzione sia come condizioni di lavoro, sembra essere il nodo chiave della questione. Altrimenti non si spiegherebbe perché, a fronte di una grande domanda di infermieri e di un aumento dei posti a numero chiuso nelle università, non si riesca a formare infermieri a sufficienza. «È così: sono aumentati i posti per la formazione triennale, ma non il numero delle richieste di accesso, che sono in calo in tutta Italia e si aggirano attorno al 20% in meno in Veneto – conferma Vallicella –. Inoltre, non tutti gli iscritti completano la formazione: esce con in tasca la laurea solo il 75% di chi inizia questo percorso».
La leva per bilanciare domanda e offerta dunque va trovata altrove. Dove? «Incidere sulla parte economica è di certo importante, ma prima ancora bisogna migliorare le condizioni di lavoro: oggi gli infermieri sono pochi e si trovano a lavorare molto di più, in situazioni di disagio e nella difficoltà di soddisfare al meglio i bisogni dei pazienti», osserva il presidente dell’Ordine. E dopo aver fronteggiato l’emergenza Covid – li chiamavamo “i nostri angeli”, ricordate? – aprendo reparti dalla mattina alla sera e lavorando in condizioni estreme per mesi, sono finiti nel dimenticatoio. «Perché la sanità funzioni bene servono diverse figure, tutte importanti, ma l’infermiere è una presenza insostituibile: se pensiamo ad esempio a un intervento chirurgico, è l’assistenza infermieristica costante al paziente che fa la differenza, prima e dopo l’intervento – evidenzia Vallicella –. Ma uscendo dall’ambito dell’acuto, il ruolo dell’infermiere è fondamentale anche sul territorio: tante volte ci sono anziani che finiscono al pronto soccorso perché nessuno ha monitorato l’efficacia della terapia assunta, o semplicemente la sua corretta assunzione, o perché nessuno è andato a controllarli a casa, col risultato che si intasano pure i pronto soccorsi. Con l’implementazione dell’assistenza domiciliare si risparmierebbe sia in sofferenza che dal punto di vista del costo di ricoveri inappropriati, che sottraggono risorse a chi si trova in una situazione acuta e si rivolge al pronto soccorso».
Con l’aumento dell’età media e delle patologie croniche, i bisogni di assistenza saranno maggiori in futuro. Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) ha previsto lo stanziamento di fondi per le “Case di comunità”, delle strutture intermedie che dovrebbero potenziale la Medicina e l’assistenza territoriale. «Il personale infermieristico per farle funzionare dove sarà trovato, se è già carente adesso? – si interroga il presidente –. Per l’applicazione del Pnrr servono risorse, in particolare quelle infermieristiche, diversamente si rischia di costruire “case/strutture” vuote». Prendere in mano la questione ed esserne consapevoli sarebbe un primo passo, suggeriscono gli addetti ai lavori. «Mancano infermieri e non facciamo niente? Servono risposte concrete, sia per far lavorare in condizioni più serene questi professionisti, sia per riorganizzare meglio l’intero sistema, che deve essere adattato ai bisogni futuri delle persone – conclude Vallicella –. Ci sono stati momenti difficili anche in passato, 20 o 30 anni fa, ma allora la politica aveva dato delle risposte concrete, ad esempio mettendo sul piatto l’indennità di specificità infermieristica o facilitando economicamente i tre anni di università; adesso niente di tutto questo. Come possiamo pretendere che dei giovani oggi si avvicinino a una professione che richiede grandi sacrifici e non propone sviluppi di retribuzione o di carriera? All’estero, per esempio in Inghilterra, c’è un pieno riconoscimento delle competenze dell’infermiere: perché non investiamo anche noi su questi professionisti, prima che sia troppo tardi? O stiamo pensando a un Sistema sanitario nazionale senza infermieri?».

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