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Cittadino italiano: conta il sangue on nascere in Italia?

di ANDREA ACCORDINI
L'assurdo status di molti italianissimi "stranieri" 

Cittadino italiano: conta il sangue on nascere in Italia?

di ANDREA ACCORDINI
Chi è un cittadino italiano? Cosa rende una persona degna di far parte in pianta stabile della nostra Repubblica? Quali devono esserne i tratti distintivi? È una questione culturale? È necessario cioè un substrato di saperi linguistici, storici, civici per potersi dire italiani? Oppure è determinante riconoscersi in un patrimonio valoriale condiviso e ben descritto dalla carta costituzionale? O si tratta di un privilegio tramandato dai genitori ai figli? Quindi non si può che essere italiani che per discendenza? Si tratta di una stirpe italiana? Di italico sangue, che anche una volta emigrato rimane tale? O potrebbe essere sufficiente nascere o vivere per un determinato periodo sul suolo italiano?
Sarebbe una riflessione estremamente interessante da affrontare. Da qui dovrebbe partire la discussione sul diritto di cittadinanza, dallo stabilire cosa ci definisca come italiani, cosa qualifichi il nostro vivere assieme e la nostra identità, quale sia il criterio o i criteri che distinguono un “noi” da un “loro”. Al pari dei confini, a questo servirebbe la cittadinanza, a definire chi sta dentro e chi sta fuori, chi può entrare e chi no. È tuttavia una discussione condannata alla superficialità dalla propaganda partitica, che inquina ogni tentativo di riflessione mobilitando gli attivisti acritici e gli ideologi da tastiera con slogan vuoti e privi del benché minimo approfondimento. Eppure proprio quest’anno la legge che disciplina la cittadinanza e il suo accesso compie trent’anni (è la legge 91 del 1992, firmata dall’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga e dal premier Giulio Andreotti) e, alla luce dei cambiamenti sociali e geopolitici intervenuti in questi tre decenni, forse avrebbe bisogno di un tagliando.
Cittadinanza italiana
Innanzitutto, la cittadinanza indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici. Non va confuso con il permesso di soggiorno che, il più delle volte, ha carattere temporaneo (deve quindi essere rinnovato regolarmente) e non garantisce pieni diritti. Ad esempio non comprende il diritto di voto. La cittadinanza italiana si acquisisce secondo il principio dello ius sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani o se si è discendenti di italiani, dimostrando la catena parentale fino al capostipite cittadino italiano. Sono italiani anche i figli di ignoti o apolidi (coloro che non hanno cittadinanza di alcuno Stato) nati nel territorio della Repubblica.
Diventare italiani
Uno straniero può richiedere la cittadinanza se risiede regolarmente in Italia da almeno dieci anni ed è in possesso di determinati requisiti. Su tutti, occorre dimostrare di avere avuto negli ultimi tre anni redditi sufficienti al proprio sostentamento (reddito personale o familiare di almeno 8.263,31 euro per il solo richiedente, che diventano 11.362,05 con il coniuge, più 516,46 per ogni figlio a carico), di non avere precedenti penali, di non rappresentare una minaccia per la sicurezza della Repubblica. In alternativa si può diventare italiani per matrimonio, ossia sposando un italiano.
E i minori?
Il vero nocciolo della questione riguarda però i figli degli immigrati, la cui cittadinanza dipende dallo status dei genitori. Sono i cosiddetti immigrati di seconda generazione, quelli nati in Italia o arrivati in tenera età, che frequentano la scuola qui, parlano l’italiano, praticano sport, popolano gli oratori... Insomma sono italiani de facto, cresciuti fianco a fianco degli italiani (con cittadinanza), i quali, il più delle volte, non si rendono nemmeno conto di condividere gioie e dolori con amici e compagni ufficialmente non italiani, tanto è data per scontata la loro appartenenza alla medesima comunità. Se ne è parlato nei giorni scorsi durante una serata della rassegna “I martedì del mondo”, ospitata dai missionari comboniani di Verona. Secondo le stime fornite dalla sociologa del Cestim, Gloria Albertini, gli stranieri di seconda generazione sarebbero circa un milione (su un totale di 5 milioni); di questi, i tre quarti – circa 780mila – sono nati in Italia, gli altri all’estero arrivando come minorenni al seguito dei genitori. Tutti costoro possono diventare italiani solo “a traino” dei genitori, ossia qualora il padre o la madre ottengano la cittadinanza. Altrimenti occorre attendere i 18 anni. A quel punto, chi è nato in Italia ha tempo 12 mesi per far richiesta di cittadinanza all’anagrafe del proprio Comune, mentre chi non vi è nato deve anche garantire di risiedere in Italia da almeno 10 anni. In ogni caso, la risposta impiega dai due ai quattro anni, per arrivare. Un periodo nel quale questi giovani non possono votare, fare viaggi di studio o di lavoro all’estero senza visto, partecipare a concorsi pubblici o a competizioni internazionali (anche per questo le vittorie olimpiche della scorsa estate di atleti che hanno acquisito la cittadinanza avevano riacceso i riflettori sul tema).
Le proposte
Attualmente in Parlamento sono depositate tre proposte di legge. Da quella più permissiva che aprirebbe le porte allo ius soli (chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti è cittadino italiano), a quella che ridurrebbe gli anni di permanenza nel Paese necessari alla richiesta di cittadinanza, fino a quella che introdurrebbe un obbligo di conclusione di un ciclo di studi. Nel 2015 una proposta si era arenata al Senato dopo l’approvazione della Camera, ma nelle ultime legislature i tentativi sono stati decine. Difficilmente una maggioranza governativa eterogenea come l’attuale riuscirà a sbloccare la situazione, ma la necessità rimane. A meno che non si voglia continuare a mantenere un criterio di cittadinanza “per sangue”, considerando più italiano un argentino o brasiliano che ebbero un bis-bis-nonno nel Belpaese, rispetto a chi in Italia studia, lavora e paga tasse e contributi da anni. 

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