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Azzardo: «La soluzione è arginare quella che è una malattia»

L'opinione dell'équipe di esperti di Borgo Roma: bisogna sostenere di più i programmi di cura

Azzardo: «La soluzione è arginare quella che è una malattia»

Non la soluzione, ma comunque un segnale di attenzione verso un problema ormai dilagante. Perché in una società che respira a pieni polmoni la crisi economica, l’appiglio della vincita facile ingolosisce chi è in difficoltà. Peccato che la sorte baci pochi fortunati, mentre sono tantissime le persone che finiscono nella rete della dipendenza da azzardo.
Le novità preannunciate dal governo nel decreto dignità sono state accolte tiepidamente dagli addetti ai lavori. Per esempio da chi, giorno dopo giorno, ascolta e accompagna chi ammette di essere diventato un giocatore patologico.
Dall’apertura, a giugno dello scorso anno, da parte dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata dell’ambulatorio specialistico per il trattamento del gioco d’azzardo, presso il servizio di medicina delle dipendenze, è salito a oltre 70 il numero di pazienti presi in carico. «Per la maggior parte si tratta di uomini, di varie età, anche molto giovani. Soltanto due sono state le donne, forse perché difficilmente riescono a rivolgersi ai servizi per chiedere aiuto», evidenzia Lorenzo Zamboni. È uno degli psicologi che compongono l’équipe multidisciplinare, coordinata dal dott. Fabio Lugoboni, presente all’ospedale di Borgo Roma a cui si può richiedere un primo contatto telefonicamente (dal lunedì al venerdì chiamando il numero 045.8122692 dalle 8.30 alle 14).
Segue una raccolta di informazioni per capire da quanto la persona gioca e qual è la sua situazione familiare. È poi uno psicologo a effettuare un colloquio individuale approfondito assieme a una serie di test per valutare aspetti di umore, personalità, impulsività. In parallelo lo psichiatra decide se supportare con farmaci la terapia e può essere effettuata pure una valutazione neuro-cognitiva qualora sussistano problematiche di tipo neurologico di controllo degli impulsi. Prende il via quindi l’iter della psicoterapia a cadenza periodica, mentre per i pazienti interessati è possibile accedere a un gruppo di sostegno per gli ex giocatori. Altri incontri sono riservati ai familiari.
«Il fenomeno è ormai evidente agli occhi di tutti, senza considerare che dal punto di vista patologico si traduce in costo sociale. Rimuovere la pubblicità è segno di attenzione, certo. Non possiamo tuttavia pretendere sia sufficiente oppure risolutore del problema, come non lo è stato a suo tempo la decisione presa per le sigarette. Se non altro si argina una forma di comunicazione problematica per cui si trasmette una visione positiva dell’azzardo, che dalla ricerca della vincita evolve in dipendenza», prosegue.
La diffusione delle licenze per l’apertura delle sale slot ha moltiplicato l’offerta, pure le modalità di gioco sono variegate, maggiormente additive e basate sull’impulsività. Cosa si potrebbe fare allora? «Un’idea potrebbe essere sostenere i programmi di cura – risponde Zamboni –. La dipendenza è una malattia e il gioco d’azzardo crea un danno dal punto di vista sia psicologico che economico, per cui diverse persone non hanno più nemmeno la possibilità di curarsi. Non a caso nel nostro ambulatorio è offerta una consulenza legale gratuita con un avvocato». Spesso, ora che il soggetto approda ai servizi, ha già riportato danni importanti, specie sul fronte economico, quindi ha accumulato debiti con le banche o, peggio ancora, è finito nelle mani di strozzini. Gli utenti sono eterogenei: «Dal neo pensionato che, conclusa la carriera lavorativa, si sente smarrito e trova consolazione nel gioco a chi è passato dai casinò. L’età media è compresa tra i 40 e i 60anni. Non mancano i ventenni, che nella stragrande maggioranza più che cimentarsi nel giocare on line preferiscono farlo dal vivo. Giovani e adulti di solito hanno alle spalle situazioni familiari complesse con rapporti falliti o relazioni in crisi con il nucleo familiare».
Approcciare una dipendenza senza sostanza, rimarca, è difficile: «Sul fronte farmacologico sono pochi gli strumenti a disposizione. Esiste uno stigma del vizio che considera essere dipendenti un vizio e una scelta più che una vera patologia. Per l’azzardo ancor di più, per il giudizio negativo che le persone hanno di sé quando non riescono a smettere e si indebitano. Questo è un grosso limite, assieme alla vergogna e al forte senso di colpa, nel portare i pazienti in terapia».
Uscire dal labirinto del gioco patologico, di conseguenza, non è semplice: «Il percorso si protrae a lungo, con visite che nel tempo si diradano e diventano momenti di confronto più che sul gioco relativi alle dinamiche che possono portare a un aumentato rischio di ricaduta – conclude lo psicologo –. Complicato è inoltre stabilire quando finisce la dipendenza: quando uno non gioca più né consuma una sostanza, certo. Ma ciò che teniamo a ribadire ai nostri pazienti è che, rispetto a quella sostanza o a un determinato comportamento, manterranno sempre una fragilità, dunque una probabilità maggiore di ricadere nell’abuso».

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