Caffè & brioche

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E la chiamano estate… cantava Bruno Martino un milione d’anni fa. Canzone che guardava al futuro: s’immaginava quella del 2018, che non ha nessuna voglia di fare il suo dovere. C’è appunto bisogno di una serenata per invogliarla a fare capolino. Perché se non ci regala l’afa (di cui ci lamenteremo in un prossimo Caffè), il sole che brucia, le notti passate in terrazza, le cicale che ci svegliano alle prime luci dell’alba, c’è il rischio che arrivi giusto il tempo per salutare, e lasciarci il non benvenuto autunno. Lo faccia almeno per i venditori di angurie, che non sanno se tenere botta o convertirsi al vin brulè.

La Spagna è fuori, la Germania è fuori, l’Argentina è fuori, l’Italia lo era da tempo, e io non mi sento tanto bene. E se il Mondiale lo vince la Svizzera? Vi immaginate che tipo di festeggiamenti faranno quegli allegroni degli svizzeri, senza gettare una carta per terra sennò kaputt? E le lo vincono i giapponesi? Oddio no, i giapponesi no! Non sanno nemmeno di averla, una Nazionale di calcio…

La Stampa, quotidiano torinese, ha pubblicato ieri la bozza che l’Austria vuole presentare ai partner europei sul tema dell’immigrazione. NON è previsto di prendere a fucilate chi vuole arrivare sul suolo europeo. Tutto il resto, sì. Una specie di barriera impermeabile rispetto all’esterno, e di progressivo svuotamento di chi già è arrivato qui. Una posizione così radicale, tra l’altro già perfettamente condivisa da almeno una decina di Stati comunitari, fa riflettere. Soprattutto la radicalità e perché ci siamo arrivati: ognuno faccia le sue riflessioni.

Sono arrivati fino alle porte della città, ma vi entreranno presto se non saranno fermati. Parliamo dei cinghiali, animali che sono diventati endemici nella nostra collina e montagna. Non hanno predatori naturali, si riproducono facilmente; soprattutto, sono un flagello per le coltivazioni e non sono per nulla simpatici quando te li trovi davanti. In particolare se c’è una mamma con i cuccioli. I maschi possono raggiungere stazze elevate e non esitano ad attaccare. Insomma, bene che finalmente la Regione abbia capito che bisogna abbatterne di più: 800 nella prossima stagione. Abbiamo cinghiali che circolano nelle colline, e lupi nelle montagne. Non s’incontrano, così i primi devastano orti e campi, i secondi attaccano vitelli e agnelli. Così com’è la situazione, la natura può essere pericolosa.

L’Italia è un Paese strano: riesce ad assommare il meglio e il peggio di qualsiasi cosa. Terra ricca di santi, e di malavitosi celebri. Di posti incantevoli, e di periferie da terzo mondo. Di treni all’avanguardia, e di ferrovie locali che ricordano sempre il famoso terzo mondo. Si sale su un convoglio ad alta velocità e ci si trova catapultati in un amen a Roma o Napoli. Si ha la sfortuna di dover prendere il treno che da Verona scende verso il Polesine, e si entra in una dimensione paranormale. Con un pensiero martellante: ma chi me l’ha fatto fare… Anche la Transpolesana in auto, a quel punto, diventa una bella giornata primaverile.

Hanno sentito Luca Campedelli, il presidente del Chievo, fischiettare il mozartiano “Così fan tutti”. Era sovrapensiero, aveva letto che la sua società sarebbe nell’occhio del ciclone per aver valutato un po’ di ragazzotti sconosciuti ai più, come pietre preziose del calcio mondiale. L’accusa: così si baruccano i bilanci, così si fa vedere che i conti sono a posto quando invece ci sono buchi e debiti. Boh, chissà cosa avranno fatto veramente dalle parti della Diga. Ma intanto Campedelli smetteva di fischiettare e ricordava quel passo evangelico su chi abbia diritto, nel calcio italiano e non solo, a scagliare la prima pietra…

Poche parole, ma chiare. La Transpolesana, soprattutto nel suo tratto in prossimità di San Giovanni Lupatoto, non è pericolosa, non è totalmente rovinata, non è un biglietto da visita infangato per la nostra città. È da chiudere, così com’è. E da riaprire al traffico quando, da tratturo molisano per il passaggio delle greggi, sarà ritornata ad essere una superstrada quasi normale. Punto.

Un quotidiano locale in un richiamo di prima pagina segnalava che in un grosso centro della Pianura Padana c'è un Grest in cui 70 bambine imparano a ricamare avendo come maestre signore dai 70 ai 92 anni. Quarant'anni fa una notizia del genere non avrebbe trovato spazio nemmmeno tra le brevi della provincia, altro che in prima pagina! Eppure... Mi è venuto subito da chiedermi quante persone dai 20 ai 40 anni - che non lo facciano di professione - siano oggi in grado non dico di ricamare, ma almeno di rammendare un paio di calzini, cambiare una cerniera, realizzare un orlo, fare un'asola, cambiare il collo di una camicia e persino... attaccare un bottone. Sicuramente non è corretto il detto "val più la pratica della grammatica", ma di sicuro la prima è molto utile e fa risparmiare.

Dice il Cestim, il Centro studi immigrazione – osservatorio che ha sede proprio a Verona – che l'invasione non c'è. Attualmente sono 2.343 i richiedenti protezione internazionale ospiti nei Cas (i Centri di accoglienza straordinaria) della nostra provincia. Accolti lì legittimamente, per volontà della Prefettura, che a sua volta risponde al Ministero dell'Interno. Nemmeno nei periodi più caldi hanno mai superato quota 3 ogni mille abitanti. Il loro impatto reale, dice il Cestim, è pressoché ininfluente: anzi, basterebbe che ogni Comune se ne prendesse in carico cinque-sei per risolvere in modo indolore la questione dell'accoglienza, in attesa che la commissione territoriale valuti le richieste di protezione. Invece no: solo due su 98 (Verona e Bosco Chiesanuova) hanno attivato lo Sprar, il sistema di protezione ordinario. Così, alla fine, il quadro locale rispecchia quello nazionale: si resta imbrigliati nell'emergenza, a discapito della strategia e di una programmazione ragionata. La politica s'indigna, invoca la chiusura di porte e porti, rimprovera l'assenza dell'Europa (oggettiva: ma che cambiamenti si possono ottenere limitandosi ai post sui social network?), foraggia polemiche e cerca applausi, in una perenne campagna elettorale.

Si chiama Daspo urbano, sta per: fuori dai luoghi pubblici i molestatori, quelle persone che recano disdoro in determinati posti. Duecento metri più in là, devono stare. E se trasgrediscono, fuori dalla città. Attenzione, si rischia un esodo di massa verso Negrar e San Giovanni Lupatoto se il concetto di molestatore si amplierà a tutti coloro che rompono le scatole, parlano al cellulare come se fosse un megafono, usano scooter con scarichi rumorosissimi, parcheggiano in doppia fila, protestano per ogni minima cosa, e chi più ne ha… Città tranquillissima, quasi deserta se pensiamo al numero di molestatori che ognuno di noi si porta appresso. Noi compresi, per qualcun altro.