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Bosco Chiesanuova. Don Michele, il decano dei diaconi da 30 anni a servizio della Chiesa

«Bello raccontarlo adesso...». Trent’anni di diaconato, anniversario importante festeggiato lo scorso 9 giugno

Parole chiave: Diacono Michele Venturi (1)
Don michele durantye la Consacrazione eucaristica

«Bello raccontarlo adesso...». Non si può negare che Michele Venturi, classe 1926, abbia avuto una vita attiva. Mostra la sua tempra anche adesso, a Bosco Chiesanuova in villeggiatura estiva dalla calura di San Michele Extra, frazione in cui vive con la moglie Rosanna. Racconta del suo passato e con fare vigile osserva all’esterno i capricci del tempo. Così, mentre in Lessinia minaccia pioggia, parla con serenità della fede viva che l’ha sorretto fin da quando era bambino e soprattutto una volta divenuto adulto dopo l’incidente, quasi mortale, in seguito al quale maturò la decisione di diventare diacono.
Chi frequenta abitualmente la chiesa di Madonna di Campagna non può non conoscere Michele: in realtà il suo volto è familiare a diverse persone incrociate in trent’anni di diaconato, anniversario importante festeggiato lo scorso 9 giugno. Fu il vescovo Giuseppe Amari a nominarlo diacono nel 1988 per suggellare una vocazione profonda e sincera: punto d’arrivo e di ripartenza di un cammino nella fede che subì una svolta decisiva nel 1978. «Iniziai a lavorare in ferrovia appena diciassettenne, prima come calderaio, quindi come aiuto macchinista. Prima a Merano, successivamente nel Veronese, dopo il matrimonio», ricorda.
Nel calendario di Michele, la data del 26 settembre tuttora è evidenziata indelebilmente: «Ero aiuto macchinista e quel giorno caddi dal treno: si aprì la porta, finii sull’altro binario, fui trascinato dalla locomotiva subendo varie fratture agli arti e riportando segni su tutto il corpo a causa del trascinamento, finché un altro ferroviere non azionò il freno di emergenza», spiega. Di quegli attimi terribili ha poca memoria, arricchita in seguito dai particolari riportati dai soccorritori e ora ravvivata dalle parole dei familiari: l’evento si verificò in prossimità della Madonna del Frassino; in un primo momento Michele fu portato a piedi fino alla stazione di Peschiera, poi un’ambulanza lo trasferì all’ospedale di Bussolengo.
«Bello raccontarlo adesso...», ribadisce, ringraziando Dio per lo scampato pericolo. «Pensavano fossi morto e avevano già preparato un sacchetto con gli effetti personali da dare a mia moglie. Rimasi dalla mattina, l’incidente avvenne alle 4, fino a sera in cella mortuaria finché un ragazzino passato da lì, che forse mi toccò i piedi, si accorse che ero vivo e andò a chiamare i medici. Rimasi in coma vigile fino al 26 ottobre, giorno in cui fu eletto papa Giovanni Paolo II. Affrontai diversi interventi chirurgici per ridurre le conseguenze delle numerose fratture e ferite», riferisce.
Dopo la lunga riabilitazione, dichiarato inabile al lavoro, cadde in depressione: fu don Ezio Benedetti di Sassuolo della Congregazione di San Giovanni Battista Precursore, allora parroco di Madonna di Campagna, a suggerirgli di iniziare gli studi per diventare diacono. Fu l’inizio di un instancabile percorso, che non conosce pause nemmeno oggi, superate le 90 primavere e pur con qualche acciacco nella salute. Negli anni accompagnò i vescovi nelle messe celebrate all’interno delle fabbriche scaligere; guidò l’Azione Cattolica; contribuì, da presidente della Intrepida Calcio, alla costruzione del campo sportivo di Madonna di Campagna; collaborò con la Caritas e fu promotore di un centro di ascolto per le persone povere e in difficoltà. Senza stancarsi mai di servire Messa anche come villeggiante a Bosco Chiesanuova, comunità che l’ha accolto amorevolmente, o di portare la comunione agli ammalati. «Ha battezzato e sposato tutti i suoi nipoti», aggiunge con una punta d’orgoglio la figlia Annarosa Venturi. E il padre incalza: «Ho fatto tutto quello che si doveva fare...».

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