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Se i poveri sono ritenuti pericolosi per la società

Enzo Ciconte
Classi pericolose. Una storia sociale della povertà dall’età moderna a oggi
Editori Laterza
Bari-Roma 2022
pp. 296 - euro 20

Se i poveri sono ritenuti pericolosi per la società

“Guai ad essere poveri a Verona! Non puoi chiedere l’elemosina, non puoi sdraiarti su una panchina, non puoi esistere”. È uno dei passi nell’introduzione a Classi pericolose, il volume che Enzo Ciconte, già parlamentare nella decima legislatura, ha pubblicato per i tipi della Laterza e che affronta il tema della povertà nel nostro Paese.

È un libro di storia, scrive l’autore, “ma è una storia che ha una precisa prospettiva: guardare dal basso, osservare le smisurate diseguaglianze sociali, le vicende umane, sociali, economiche, politiche, religiose, antropologiche”.

Spaziando dai primordi del capitalismo ai giorni nostri, Ciconte ricostruisce la filosofia che sottende alla nascita delle classi pericolose in Italia, articolandola su tre piani: quella dell’elemosina, ovvero dell’approccio pietistico alla questione sociale; quella della repressione, con il sistema penale utilizzato per intervenire sull’allocazione di risorse scarse e quella della costruzione di rappresentazioni negative delle classi definite, dal titolo VI del regio decreto 635 del 6 maggio 1940 (tuttora parzialmente in vigore), “persone pericolose per la società”. Queste persone, “soggetti irrecuperabili al vivere sociale, perché ritenuti incorreggibili”, vengono dipinte con le tinte del positivismo dal medico veronese Cesare Lombroso, dal magistrato napoletano Raffaele Garofalo e dal socialista mantovano Enrico Ferri in un contesto dove l’emigrazione di massa e l’ipocrita “teoria dello sgocciolamento tanto cara ai liberisti convinti che i benefici per i ceti più abbienti favoriscano in modo automatico i poveri perché avrebbero effetti positivi sgocciolando su di loro” producono città piene di larve umane senza speranza. Ed uno che di indigenti se ne intende, cioè papa Francesco, “ha criticato con chiarezza questa teoria”, scrive l’autore sempre nell’introduzione.

Papa Francesco, ricorda ancora Ciconte, “ha dedicato alla povertà e alla denuncia delle diseguaglianze molte energie del suo apostolato, fino a farle diventare l’asse qualificante del suo papato”. Questo però non è sufficiente, anche perché è più facile colpire gli invisibili che restano ai margini delle città e combattere non chi sfrutta la miseria altrui, bensì il miserabile. Più difficile, invece, colpire i crimini dei potenti e la corruzione sistematicamente utilizzata da costoro per contribuire al fallimento delle politiche sociali.

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