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La disobbedienza di quei poliziotti salvò la vita a molti ebrei

Olinto Domenichini
«Le ricerche hanno dato esito negativo». I giusti della Questura e le persecuzioni razziali a Verona
Cierre – Sommacampagna 2021
pp. 144 – Euro 14

La disobbedienza di quei poliziotti salvò la vita a molti ebrei

Ci sono stati poliziotti come Giuseppe Dosi, uno dei padri fondatori dell’Interpol, che nella mattina del 4 giugno 1944 si precipitò in via Tasso per cercare di salvare dalle fiamme i documenti attestanti le atrocità commesse dalla SicherheitsPolizei del tenente colonnello Herbert Kappler, e poliziotti come il commissario capo Guido Masiero i quali, evitando di “pensare in maniera ‘dura’”, come scrisse a proposito dell’atteggiamento tenuto dai funzionari italiani nei confronti della popolazione ebraica Hannah Arendt ne La banalità del male, permisero a quasi duecentosettanta dei trecento ebrei schedati dalla Questura di Verona di salvarsi dai campi di concentramento.
Quest’ultima storia, poco conosciuta, è stata ricostruita da Olinto Domenichini, uno dei più attenti studiosi italiani dell’età contemporanea, nel suo ultimo lavoro intitolato «Le ricerche hanno dato esito negativo». I giusti della Questura e le persecuzioni razziali a Verona, 1943-1945, edito il mese scorso da Cierre.
Negli undici capitoli del libro, Domenichini ricorda come gli ebrei residenti nella provincia scaligera deportati e uccisi nei campi di sterminio furono 34, cioè un decimo di quelli per i quali la Questura aveva aperto dei fascicoli nominativi. E nessuno dei 34 uccisi fu segnalato da quei poliziotti che avrebbero dovuto tenerli d’occhio e consegnarli ai nazifasciti. Provvidero invece i tedeschi direttamente o le diverse polizie fasciste della Rsi, dalla Guardia nazionale alle Brigate nere, aiutate dai delatori (ce ne sono in ogni popolo, anche fra gli “Italiani brava gente”) che per cinquemila lire vendevano i loro vicini di casa non appartenenti alla razza ariana.
Dagli incartamenti resi consultabili dopo il 2015 sono emerse le prove degli ostacoli burocratici che permisero di inceppare questa macchina della vergogna. Il vicequestore Filippo Cosenza, il commissario capo Guido Masiero, il commissario aggiunto Antonino Gagliani Candela, il vicecommissario aggiunto Giuseppe Costantino ed il vicebrigadiere Felice Sena sono, per Domenichini, i “giusti” della Questura veronese che non operarono alcuna “sistematica ricerca dei trecento ebrei attivata nei mesi di dicembre 1943 e gennaio 1944 nonostante le reiterate ordinanze e circolari ministeriali”.
“Su 95 ebrei da arrestare e su 39 da ricercare ai fini della vigilanza, Sena non ne rintracciò neppure uno”, scrive Domenichini, sottolineando come i “centocinquanta rapporti di ricerca negativi, buona parte dei quali riportavano già prestampata la scritta ‘esito negativo’, fossero il risultato di una cosciente disobbedienza morale contro una criminale e insensata persecuzione”.

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