Editoriale
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Fraternità e giustizia per una nuova politica

La Grecia economicamente ridotta a gambe all’aria, con conseguenze non solo sui suoi abitanti che non possono neppure disporre come vorrebbero dei propri soldi depositati nelle banche, ma anche sui nostri conti, visto il debito ellenico verso l’Italia che varia dai 40 ai 65 miliardi, secondo che vengano considerate o meno alcune variabili quali il fondo salva Stati e la liquidità di emergenza concessa agli istituti bancari greci. Con scarse speranze che quanto dovuto venga prima o poi rimborsato...

La Grecia economicamente ridotta a gambe all’aria, con conseguenze non solo sui suoi abitanti che non possono neppure disporre come vorrebbero dei propri soldi depositati nelle banche, ma anche sui nostri conti, visto il debito ellenico verso l’Italia che varia dai 40 ai 65 miliardi, secondo che vengano considerate o meno alcune variabili quali il fondo salva Stati e la liquidità di emergenza concessa agli istituti bancari greci. Con scarse speranze che quanto dovuto venga prima o poi rimborsato. E poi l’Isis che festeggia il primo anno di rifondazione del califfato seminando morte e terrore in Tunisia, Francia e Kuwait. Solo due esempi, i più eclatanti di questi ultimi giorni, che stanno a segnalarci come per un motivo o per l’altro c’è ben poco da stare allegri e non si vede un fattore sul quale fare leva per un cambiamento radicale. Sappiamo da dove fuggiamo ma non sappiamo dove stiamo andando. A sostenere questo è stato il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, noto per aver coniato la definizione di “modernità liquida” per descrivere l’attuale situazione della società globalizzata. Un’analisi lucida e puntuale quella dell’89enne pensatore, per il quale mentre nel secolo scorso la gente nutriva fiducia nel potere statale di risolvere i problemi – e ne sarebbero scaturiti sia gli Stati totalitari ma anche il new deal di Roosevelt –, dagli anni Settanta questa convinzione è entrata in crisi, alla luce dei primi segnali di insostenibilità del sistema del welfare. Si è creduto allora che la soluzione consistesse nell’affidarsi al libero mercato il quale avrebbe avuto in sé i meccanismi di autoregolamentazione, una sorta di freno motore in caso di difficoltà, oltre a creare nuova occupazione. Ma alla fine dei conti questa fiducia cieca nel mercato ha portato al predominio della finanza sull’economia, con le bolle speculative di cui abbiamo sperimentato gli esiti perversi, oltre a un consumismo sfrenato che ha condotto a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Ora, dopo la crisi del 2008 dalla quale non siamo ancora riemersi, ci troviamo, secondo Bauman, in una specie di interregno, senza aver chiara la direzione da prendere e senza una forza, un potere in grado di risolvere i problemi. Questo ha condotto altresì ad un aumento delle disuguaglianze e allo sfruttamento del pianeta come miniera inesauribile.
Se l’analisi può essere condivisibile, tuttavia riguardo non dico alle soluzioni – sempre se spetta ai sociologi indicarle – ma ai possibili elementi su cui fare leva, Bauman risulta poco convincente. In quanto affida la possibile via d’uscita solo ad una nuova centralità della Politica, quella con la P maiuscola. Ora, se è vero che la politica per il cristiano è la forma più alta della carità, è pur vero che per molti essa è diventata occasione per arricchirsi, per gestire il potere in base ad interessi non sempre nobili ispirati da lobby di riferimento. Occorrerebbe prima recuperare le dimensioni della giustizia e della fraternità, così da tornare a pensare alla politica semplicemente come un patto e un servizio con sguardo lungimirante per il bene comune.

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