Condiscepoli di Agostino
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“La libera carità mi costringe a servire”

Agostino intraprende l’impresa di dettare il trattato sulla Trinità (De Trinitate) fin dal 399, poco dopo aver pubblicato le Confessioni, ma lo concluderà dopo il 420! La sua gente sapeva che stava affrontando la tematica della Trinità...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo emerito di Verona (21)
“La libera carità mi costringe a servire”

Agostino intraprende l’impresa di dettare il trattato sulla Trinità (De Trinitate) fin dal 399, poco dopo aver pubblicato le Confessioni, ma lo concluderà dopo il 420! La sua gente sapeva che stava affrontando la tematica della Trinità. Ed era molto curiosa di conoscere il pensiero del suo vescovo. Anche perché sospettava che la sua elaborazione sul mistero della Trinità non fosse una fotocopia degli altri autori cristiani. Conoscendolo dalle omelie, intuiva che la sua era una elaborazione del tutto personale. Certo in piena consonanza con il deposito della fede cattolica. Ma mai pura ripetizione. Tutto passava dalla sua mente esigentissima. E finché lui stesso non era convinto, non cessava di indagare. È questa una delle motivazioni che giustificano la durata di oltre vent’anni richiesta dalla composizione del trattato sulla Trinità. È stato il frutto di una lunga fatica. Lo confida fin dal suo esordio: “Mentre noi siamo rapiti dall’amore di indagare la verità (“rapimur amore indagandae veritatis”!), essi (i fedeli) insistono nel chiedere in nome della carità che indichiamo che cosa siamo riusciti ad escogitare da quell’indagine” (De Trinitate 1.5.8). Bellissimo quel “siamo rapiti dall’amore di indagare la verità”. È uno squarcio sull’animo di Agostino insaziabile di verità. D’altra parte, i fedeli esigevano che il loro pastore rendesse partecipi anche loro delle sue conquiste. Passo dopo passo. Come preciserà in seguito, Agostino, pur tormentato da questo pensiero, era persuaso che solo ad opera compiuta i fedeli, almeno quelli più colti, avrebbero potuto beneficiarne in modo proficuo. Anche perché ogni libro, come annota, è collegato con gli altri e lui stesso sentiva il bisogno di rivederli in continuità. Mai sufficientemente appagato dei risultati: “Secondo le mie capacità” (Ivi). I fedeli comunque lo incalzavano: “Mi si chiede quanta strada io abbia percorso e a che punto dalla fine io sia arrivato” (Ivi). Il guaio è, precisa Agostino, che a chiedermelo con insistenza sono “certe persone che la libera carità mi costringe a servire” (Ivi). Dunque: “libera carità”! Il ministero pastorale di Agostino è frutto di un amore pienamente libero. Tuttavia lo vincola a servire i fedeli: “mi costringe a servire”. Ecco il dilemma. Che cosa deve fare? Deve servirli! Ma deve fare immediatamente ciò che esigono? Risponde: “Bisogna anche che giovi a me stesso, mentre preparo questi scritti per loro perché li possano leggere” (Ivi). Da notare che li ha scritti anche per noi!

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