Una giornata particolare
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Una carbonara fatta come tradizione comanda ci fa capire che le diversità hanno un buon sapore

Se è vero che la pandemia del Coronavirus porterà radicali cambiamenti in tutti gli ambiti di vita, chissà cosa succederà rispetto alle nostre abitudini alimentari. Magari si realizzerà il mio incubo di bambino che – sommerso di libri di fantascienza e da continue innovazioni – temevo il giorno in cui ci si sarebbe nutriti di compresse senza gusto, anziché il salame dello zio, la grigliata del papà, la fogassa della nonna...

Una carbonara fatta come tradizione comanda ci fa capire che le diversità hanno un buon sapore

Se è vero che la pandemia del Coronavirus porterà radicali cambiamenti in tutti gli ambiti di vita, chissà cosa succederà rispetto alle nostre abitudini alimentari. Magari si realizzerà il mio incubo di bambino che – sommerso di libri di fantascienza e da continue innovazioni – temevo il giorno in cui ci si sarebbe nutriti di compresse senza gusto, anziché il salame dello zio, la grigliata del papà, la fogassa della nonna. Un dubbio che rilancio a tutti, soprattutto in occasione della Giornata mondiale della carbonara, che da alcuni anni si svolge il 6 aprile. Secondo gli esperti, è la pasta più amata dagli italiani e la nostra ricetta più rappresentativa al mondo. Mentre ci chiediamo se rimarrà una gustosa abitudine, possiamo riconoscere alcuni aspetti che la rendono davvero emblematica del nostro popolo.
Primo aspetto italiano: non siamo mai capaci di andare d’accordo su niente. Il dibattito sulle origini di questa ricetta ne sono una prova inconfutabile. Per alcuni fu inventata dai carbonai – del Centro Italia o del Polesine – che la cucinavano con ingredienti facili da trovare (poi successivamente affinati). Per altri è l’evoluzione di un piatto campano conosciuto già a inizio XIX secolo. Altri ancora affermano con sicurezza che nacque durante la Seconda Guerra mondiale, sfruttando le scorte alimentari delle truppe alleate: uova (in polvere) e bacon (per buona pace del dibattito guanciale o pancetta); anche qui, però, ci sono almeno due versioni: una “romagnola” legata alla gente di Riccione e all’VIII Armata britannica; un’altra che si rifà ai soldati americani e alla prontezza della cucina romana. E ce ne sarebbero molte altre: in ogni caso, appunto, non ci sappiamo mettere d’accordo su nulla, nemmeno sulla “sacra cucina”.
Secondo aspetto italiano: nei momenti più difficili tiriamo fuori il meglio di noi. Al di là di quale sia la tradizione autentica (se mai ce ne fosse una), la cosa certa è che questa ricetta è frutto dell’arguzia che emerge nelle crisi, siano esse legate a difficoltà di approvvigionamento, a carestie o guerre. D’altronde la tradizionale origine della nostrana pastisada de caval la dice lunga.
Terzo aspetto italiano: c’è sempre qualcuno che vuole fare il diverso e saperla più lunga degli altri. Se per tutti i “magnifici sei” ingredienti sono pasta, guanciale, uova, Pecorino Romano, sale e pepe, c’è costantemente qualcuno che sostiene che con la panna avrebbe un tono più dolce, con aglio e cipolla sarebbe più saporita. E poi c’è chi sostiene che la carbonara tradizionale, con l’eccessivo uso di uova, lascia una puzza insopportabile (il veneto freschìn), che sarebbe facilmente superabile con la versione vegan dove gli ingredienti sono curcuma, farina di ceci, panna di soia e tofu affumicato.
Oltre a questo podio “italiano”, la carbonara offre una considerazione che va bene per tutta l’umanità: il mettere insieme, in comunione, le diversità – in maniera sapiente e non caotica – porta a un gusto totalmente nuovo e decisamente buono.

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