Commento al Vangelo domenicale
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Lo Spirito Santo, sorgente di unità nella diversità

Giovanni 14,15-16.23b-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Dopo cinquanta giorni dalla Pasqua, i discepoli e un folto gruppo di seguaci di Gesù stavano radunati nel cenacolo. Dalla Pasqua in poi non avevano mai smesso di pregare assieme e di vivere in fraternità. Quel giorno, come per noi oggi, fu decisivo. È la festa di Pentecoste, giorno della discesa dello Spirito Santo in mezzo alla comunità degli apostoli. La prima lettura di questa domenica, presa dal capitolo 2 degli Atti, descrive questo grande evento, rendendolo concreto e ancora oggi attuale: “A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”. Lo sfondo della scena è costituito dalla Pentecoste ebraica. L’effusione dello Spirito Santo permette di trovare un linguaggio comune, comprensibile ad ogni uomo, di ogni provenienza. La molteplicità delle lingue, se considerata solo nella prospettiva della disuguaglianza, può indicare la frattura dell’umanità; il Paraclito segna invece la dimensione universale della Chiesa, unico corpo di Cri sto che ricompone la molteplicità culturale dell’umanità. Il linguaggio che accomuna ogni uomo, di ogni nazione, provenienza e cultura, è quello dell’amore. Lo Spirito Santo, sorgente e anima di unità nella diversità, porta nell’uomo l’unico linguaggio a tutti comprensibile, quello dell’amore che accoglie, della comunione che supera le difficoltà, della carità capace di condividere, dell’ascolto che abbatte i muri dell’indifferenza, della compassione che condivide le sofferenze, della condivisione che spezza il pane con chi è affamato, del perdono che supera il male compiuto. Nello Spirito Santo il Cristo risorto si fa presente e la Chiesa realizza la comunione trinitaria. Lo Spirito Santo discende come sostenitore degli apostoli e di tutti noi, perché non siamo lasciati soli, dentro una dimensione d’amore condiviso. Gesù dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Un intenso appello all’amore, che nasce dal dialogo tra il Padre, il Figlio e il credente: “verremo e prenderemo dimora presso di lui”. Come è bello e nello stesso tempo intimo ascoltare e meditare queste poche parole che l’evangelista Giovanni trasmette. Ci permettono di gustare ed entrare in un rapporto profondo con il Padre e il Figlio attraverso lo Spirito Santo. In questa comunione trinitaria si realizza il grande miracolo della Chiesa, la realizzazione del Regno e la presenza di Dio Padre nel cuore di ogni credente. “Prendere dimora” è molto più di una semplice relazione; è l’essere pienamente immersi nell’Amore, è sentire che la propria quotidianità è espressione e riflesso di una dimensione che supera il nostro limite, è vivere con la consapevolezza che ogni nostro gesto nasce da un rapporto profondo con il Padre e diviene sua espressione, è cogliere la consolazione di poter essere luogo in cui abita Gesù. Anche la seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo ai Romani, insegna che lo Spirito è libertà e trasforma i desideri dell’uomo, liberandolo dall’egoismo per immergerlo nella carità: “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14).
Il fuoco dello Spirito, che in questa domenica di Pentecoste scende anche nella nostra comunità, come per i primi discepoli, dovrebbe provocare in noi il coraggio di uscire fuori, allo scoperto e, come gli apostoli del Maestro, sfidare l’opinione avversa, il giudizio dei benpensanti, la presunzione dei dotti ragionamenti. Dentro il cenacolo i discepoli sperimentano un vero e proprio terremoto interiore; vivono un evento che sconvolge profondamente il loro cuore, e l’energia che li avvolge consente loro di superare ogni paura e di parlare alla folla arrivando al cuore di ogni uomo, perché in grado di entrare in comunicazione con ciascuno. I limiti vengono superati, gli orizzonti si spalancano e il mondo intero viene raggiunto dalla fraternità cristiana che non conosce confini di lingua, cultura, condizione e appartenenza. Riflettendo sulla nostra comunità viene da chiedersi se in questa domenica di Pentecoste, anche noi viviamo questo terremoto interiore, che scuote in profondità le nostre coscienze e apre le porte del nostro cuore! Lo Spirito Santo viene effuso anche su di noi perché possiamo uscire dalle nostre false sicurezze, per annunciare il Vangelo con la nostra vita. Come i primi discepoli, dovremmo trovare il coraggio di comunicare l’amore del Padre a tutti gli uomini senza distinzione di razza; dovremmo dire che l’amore di Dio supera i confini territoriali, distribuisce il benessere, accoglie chi è nella sofferenza, responsabilizza ogni uomo: “Lo Spirito Santo infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 183).

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