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Una commedia british che fa ridere, pensare e commuovere

Il ritratto del duca
(Gran Bretagna, 2020)
Regia: Roger Michell
Con: Jim Broadbent, Helen Mirren, Fionn Whitehead, Matthew Goode
Durata: 96 minuti
Valutazione Cnvf: brillante/consigliabile/dibattiti

Parole chiave: Il ritratto del duca (1), Film (103), Cinema (101)
Una commedia british che fa ridere, pensare e commuovere

Londra, 1961. La National Gallery acquista per 140mila sterline Il ritratto del duca di Wellington, opera di Francisco Goya. Lo espone il 2 agosto e dopo solo diciannove giorni viene rubato: il primo (e finora l’unico) furto subito dalla prestigiosa galleria inglese. Il ladro, Kempton Bunton, è un tassista di 60 anni che compie quest’atto con un fine sociale meritorio. Per la restituzione, infatti, viene richiesto dall’uomo che il governo si prenda più cura degli anziani e, in particolare, esenti dal pagamento del canone televisivo tutti i pensionati reduci di guerra.

Una storia alquanto curiosa, ma realmente accaduta e ben raccontata da Roger Michell: ventitré anni dopo il successo di Notting Hill, ha donato al pubblico la sua ultima opera. Come tante pellicole in questi ultimi due anni, anche questa è arrivata in sala con non poco ritardo: è stata presentata al Festival di Venezia nel 2020, è arrivata nei cinema da qualche settimana, il regista è prematuramente scomparso nel 2021. Una commedia squisitamente british che fa ridere, fa pensare e commuove un po’.

Fa ridere. Innanzitutto, è encomiabile l’interpretazione dei protagonisti: il premio Oscar Jim Broadbent, nel ruolo di Kempton Bunton, e la premio Oscar Helen Mirren, nel ruolo della dolce e severa moglie Dorothy. Battute e frecciatine scambiate, come fossero una vera coppia che ha trascorso una vita insieme, un affetto che emerge nei gesti della vita quotidiana, una complicità che rende questa coppia molto credibile: ogni occasione diventa propizia per destare nel pubblico un sorriso divertito, ma mai superficiale o volgare.

Fa pensare. Il protagonista dice di sé stesso: «Combatto l’ingiustizia sociale, sono Robin Hood!». E, come il leggendario ladro inglese che rubava ai ricchi per donare ai poveri, anche Bunton fa questo gesto che ha del paradossale. Il processo finale, in particolare, regala le battute in assoluto più belle di tutto il film e ciò che più di tutto il resto fa riflettere: un uomo semplice, che arriva a parlare ai potenti, come nella tradizione delle commedie inglesi brillanti e satiriche a tema sociale.

In tutto ciò, c’è posto anche per la commozione. Nelle diverse traversie fa capolino anche un vecchio lutto familiare, affrontato in modo diverso dai due anziani sposi. Un lutto che diventa l’occasione per approfondire l’intimità dei personaggi e per rendere conto dei loro comportamenti così diversi. La delicatezza nel trattare il tema riesce a coinvolgere il pubblico nel dolore, senza però perdere mai di vista il tono canzonatorio e divertente di tutta la storia

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Una commedia british che fa ridere, pensare e commuovere
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