Con la memoria degli elefanti ci ricorderemmo quanto sono importanti per tutto l’ecosiste
“Un elefante si dondolava, sopra il filo di una ragnatela, e considerando la cosa interessante, andò a chiamare un altro elefante. Due elefanti si dondolavano…”. Da bambino mio zio mi cantava sempre questa filastrocca senza fine. E sono cresciuto avendo in testa queste parole, pensando che l’avesse inventata lui e che fosse l’inno alla grande amicizia tra uomini ed elefanti...
“Un elefante si dondolava, sopra il filo di una ragnatela, e considerando la cosa interessante, andò a chiamare un altro elefante. Due elefanti si dondolavano…”. Da bambino mio zio mi cantava sempre questa filastrocca senza fine. E sono cresciuto avendo in testa queste parole, pensando che l’avesse inventata lui e che fosse l’inno alla grande amicizia tra uomini ed elefanti.
Crescendo un po’, ho scoperto che le parole non erano esattamente quelle, che l’autore della filastrocca non era mio zio e, soprattutto, che il rapporto tra gli umani e questi pachidermi non è sempre sereno. A darmene conferma, prima la visione del film di animazione Dumbo e poi la constatazione di come in alcune zone del pianeta sia difficile e pericolosa la convivenza.
Si calcola che ogni anno gli elefanti distruggano molte piantagioni e case, oltre a uccidere circa 500 persone. D’altro canto, nello stesso lasso di tempo oltre 30mila di questi animali sono uccisi solo in Africa, soprattutto per alimentare il commercio di avorio. Nel 1989 questo mercato è stato dichiarato illegale a livello internazionale, salvo fare i conti con alcune successive deroghe (come la vendita di materiale già accumulato, almeno in teoria), l’avidità di tante persone e l’ambiguità di alcuni governi.
Si stima che dal 2009 al 2014 nella sola Tanzania siano stati uccisi 85mila elefanti. Il governo del Botswana, Paese che ospita un terzo degli elefanti africani, nei mesi scorsi con la scusa di proteggere le coltivazioni umane, ha venduto all’asta 272 licenze per uccidere un pachiderma ciascuna; l’opinione pubblica locale si è molto divisa, ma agli esperti appare impossibile (tecnicamente e politicamente) un controllo delle autorità sul reale numero dei capi abbattuti.
Se non bastasse il bracconaggio, gli elefanti devono lottare contro la siccità, l’inquinamento delle acque, le trappole di alcuni contadini, la continua perdita di habitat naturale a causa della deforestazione per ottenere terreni da coltivare o urbanizzare. Nel mondo oggi se ne contano circa 400mila, un numero che mette a rischio la loro sopravvivenza ma anche l’equilibrio degli ecosistemi, essendo considerata in ecologia una “specie chiave”.
A preoccupare anche il fatto che alcune soluzioni già adottate, come l’istituzione di parchi nazionali ed aree protette, non stiano offrendo i risultati sperati. Dal 2012 è stata lanciata la Giornata mondiale dell’elefante (12 agosto) con il desiderio di sensibilizzare le persone e i governi a porre fine al commercio illegale di avorio e a cercare insieme soluzioni per garantirne la sopravvivenza.
Tra queste, una che fa risultare come miglior alleato un altro animale piccolo (come il “nemico” topo) e a sua volta a pericolo estinzione: l’ape. Il ronzio negli alveari (anche artificiali) posti attorno ai campi tiene lontano l’80% degli elefanti proteggendo la loro vita e i raccolti umani. Confermando ancora una volta che prendere sul serio i propri limiti e paure è fare un passo verso la salvezza.
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