Il Fatto di Bruno Fasani
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Quando una società smette di nascere

Nella Biblioteca Capitolare di Verona esiste la copia più antica al mondo del De Civitate Dei di sant’Agostino. Gli esperti la datano verosimilmente intorno al 426 e si pensa sia stata scritta ad Ippona, quando il suo autore era vescovo di quella città...

Parole chiave: De Civitate Dei (1), Il Fatto (420), Mons. Bruno Fasani (19), Biblioteca Capitolare (16), Sant'Agostino (177)
Quando una società smette di nascere

Nella Biblioteca Capitolare di Verona esiste la copia più antica al mondo del De Civitate Dei di sant’Agostino. Gli esperti la datano verosimilmente intorno al 426 e si pensa sia stata scritta ad Ippona, quando il suo autore era vescovo di quella città. Si tratta dell’opera più importante del grande Padre della Chiesa. Agostino aveva visto il sacco di Roma, avvenuto nel 410 da parte delle orde dei Visigoti di Alarico. Tre giorni, dal 24 al 27 agosto, che videro crollare il mito dell’inviolabilità della grande città, capitale dell’impero. Il vescovo di Ippona aveva visto in quell’episodio una grandezza arrivata al capolinea, quasi una punizione di Dio per una vita pagana, corrotta oltre ogni limite.
Pensavo a quest’opera mentre la cronaca dei giorni scorsi ci consegnava la notizia che lo Stato italiano ha dovuto mettere sotto scorta la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz. La sua colpa? Semplicemente il fatto di essere ebrea. Contro di lei, sui social, s’è riversato un fiume di insulti e di minacce inaccettabili. In contemporanea, un po’ più a Nord dell’Italia, in Olanda, nel giorno in cui si ricordava la notte dei cristalli, la Kristallnacht, che diede l’avvio alla sistematica uccisione degli ebrei, non si è trovato di meglio che entrare nel loro cimitero per profanarne le tombe. Per tornare a casa nostra, l’ultima perla l’ha infilata il sindaco di Predappio, patria di Mussolini, il quale ha negato il contributo di 370 euro a due studenti che dovevano partecipare al Progetto della Memoria, in ricordo della Shoah. «Il treno della memoria deve andare ovunque dove si è consumata la violenza nel 20° secolo – si è giustificato – e non solo da una parte».
Perché mi tornava alla mente sant’Agostino e la sua opera? Perché penso che una società che non sa più riconoscere il bene, da imitare, e il male, da condannare, è una società che non ha futuro. Sul letto di morte accade a volte che diciamo: «Non se la cava». Verrebbe da dire per analogia: nemmeno questa nostra società se la può cavare. Diceva il biologo Adolf Portman che la nascita continua fin dentro alla vita, perché è vero che vediamo la luce in un certo giorno, ma è da quel momento che impariamo a vedere, sentire, toccare, camminare, ragionare, scegliere, valutare... Se questo è vero, è altrettanto vero che si può restare biologicamente vivi, ma cominciare a regredire e a morire.
Una società dove si rispolvera l’odio per ragioni etniche, religiose, culturali è una società che ha finito di nascere. E non saranno i Visigoti a metterla a ferro e fuoco. Sarà il nulla di una falsa gioia, segnata dalla perversione, che renderà tutto più invivibile, nelle nostre case, nei piccoli paesi dove viviamo, nelle relazioni quotidiane. E non sarà prendendosela con qualche sindaco degno di altro nome, di qualche fanatico di una curva di calcio o di una madre che apostrofa chiamando “negro di m...” l’avversario in campo del figlio undicenne, che torneremo a vivere. Serve molto di più. Ci siamo emancipati da Dio, convinti che saremmo diventati liberi. Stiamo costatando invece come, cadendo Lui, in simultanea stia cadendo anche il nostro impero.

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