Le femministe indignate ma un tantino a vanvera
Si sa che pur di far parlare di qualcosa tutto fa brodo. Se il prodotto non “tira” di suo, ogni espediente è buono. Ricordo anni fa una gentile signora della Tv che era in attesa di visibilità, per ottenere qualche contratto. Non trovò nulla di meglio da propormi se non simulare una presunta liaison, purché lo scandalo la riportasse nell’interesse degli agenti. Diniego da parte mia che mi costò sulla coscienza il peso di qualche suo anno lontano dagli schermi...
Si sa che pur di far parlare di qualcosa tutto fa brodo. Se il prodotto non “tira” di suo, ogni espediente è buono. Ricordo anni fa una gentile signora della Tv che era in attesa di visibilità, per ottenere qualche contratto. Non trovò nulla di meglio da propormi se non simulare una presunta liaison, purché lo scandalo la riportasse nell’interesse degli agenti. Diniego da parte mia che mi costò sulla coscienza il peso di qualche suo anno lontano dagli schermi.
Anche Sanremo deve patire di ipossia (mancanza di ossigeno) se in questi giorni sono riusciti a montare una polemica sul nulla, giusto per uscire dall’ombra. Parlo ovviamente del festival della canzone italiana, sperando che i lettori abbiano la giusta dose di comprensione se per una volta scendiamo dalle vette verso la palude. Perché parlare di un festival non è lo stesso che decantare la bella città ligure o attardarci sulle gesta eroiche di qualche santo. Tanto più che la storia ci racconta che il nome deriva da una fortezza costruita per difendere la città da eventuali attacchi dei Saraceni, il Castrum Sancti Romuli, così chiamato in onore del vescovo di Genova, tale Romolo, senza accertarsi se esistesse realmente un santo con tale nome, o di nome Remo. Entrambi inesistenti nel calendario della Chiesa.
A far da grancassa per il prossimo festival ci ha pensato stavolta Amedeo Umberto Rita Sebastiani, in arte Amadeus. Uscite, le sue, a metà strada tra il candore e la sprovvedutezza, dove è difficile capire se le ingenuità siano figlie di qualche sorgente di valore o di qualche vuoto difficilmente attivabile. Quisquiglie di poco conto, se non fosse che l’ipocrisia nazionale è sempre dietro l’angolo pronta a indignarsi quando le questioni non chiedano un di più di intelligenza. A suscitare le ire funeste è stato soprattutto il riferimento alla compagna del celeberrimo centauro Valentino Rossi, alla quale è stata riconosciuta «la capacità di stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro».
Alle femministe dell’ultima ora, quelle per capirsi emigrate da tempo in qualche branco di scimmie, dove non si vede, non si sente e non si parla, si sono aggiunte ventinove signore parlamentari, pronte a chiedere testa e scuse dell’improvvido presentatore. Roba che mi induce a fare qualche riflessione sui destini italici e sulle menti di coloro nelle cui mani abbiamo riposto le nostre speranze. E non tanto perché non sia un dovere difendere le donne, quanto per il dubbio che mi prende sui contenuti della scatola nera che si portano sul collo.
Stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro dice quello che vogliono dire le parole, ossia intelligenza, amore, sensibilità, eleganza per non rubare la luce e la scena alla persona che ami. Ed anche onestà. Forse l’elogio più grande che si può fare ad una persona. Anche perché in certo mondo si costruiscono fortune, più che amori, con le glorie altrui. E poi da che mondo è mondo sono i ruoli che domandano un certo stile. Ve la immaginate Melanie a scodinzolare davanti a Trump? O il principe Filippo a rubare la scena alla regina Elisabetta?
Non capirlo o farne una stupida strumentalizzazione, più che un merito a me sembra una colpa. Ma come si dice per certe condizioni, il reo, poveretto, non è imputabile.
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