Il Fatto di Bruno Fasani
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Ciò che la Pasqua insegna anche al non credente

Nella notissima sequenza Victimae paschali laudes, che canteremo nel giorno di Pasqua, c’è una frase che ci obbliga a pensare, prima di aprirci alla speranza nella fede. Si dice che la morte e la vita si sono affrontate in un duello straordinario. Si fa riferimento alla vicenda umana di Gesù, ma il cronista non può prescindere dal prenderla sul serio anche per altre ragioni. È vero che tra morte e vita è in atto una lotta senza tregua?

Parole chiave: Il Fatto (417), mons. Bruno Fasani (19), Pasqua (37)

Nella notissima sequenza Victimae paschali laudes, che canteremo nel giorno di Pasqua, c’è una frase che ci obbliga a pensare, prima di aprirci alla speranza nella fede. Si dice che la morte e la vita si sono affrontate in un duello straordinario. Si fa riferimento alla vicenda umana di Gesù, ma il cronista non può prescindere dal prenderla sul serio anche per altre ragioni. È vero che tra morte e vita è in atto una lotta senza tregua? E, se sì, dove stanno questi duellanti, dove le tracce della loro cruenta battaglia? La verità è che morte e vita le abbiamo così ben mascherate, da finire per confonderle tra di loro.
Se andiamo a parlare della morte, scopriamo nel sentire comune che essa è ridotta ormai a puro fatto biologico, dando ragione a quanto sosteneva il filosofo Wittgenstein quando sosteneva che “La morte non è un evento della vita. La morte non si vive”. O meglio, la vive solo chi muore, peraltro non potendo raccontare agli altri nulla della sua esperienza. E così noi tutti, ossia “gli spettatori”, finiamo per guardarla con occhi diversi. C’è chi la guarda come se fosse uno spettacolo, chi ne ha paura e chi la cerca, chi la causa e chi la accelera... Nel grande vivaio della morte fisica, ci sono erbe per tutti i gusti.
Non va meglio se parliamo di vita. Da Epicuro in poi, chi non ha esclamato una volta: «Questa sì che è vita!», alludendo a qualche momentanea parentesi di benessere fisico. Una sensazione cresciuta nella cultura che respiriamo, che ha fatto del vitalismo alimentare e di quello sessuale una sorta di bancomat della felicità. Poi non importa se per divertirsi si muore. Sopravvive, in piccole frange superstiti, l’idea di una vita senza fine, ma anch’essa filtrata dai colori naif con cui dipingiamo le nostre speranze. Ci troveremo tutti insieme, cammineremo in prati fioriti, saremo come stelle che brillano... Chi non ha fatto i conti, almeno qualche volta, con simili ingenue proiezioni?
In realtà ciò che la Pasqua ci restituisce, prima ancora della nostra adesione di fede, è una domanda di fondo: dove sta la vita e dove sta la morte? Quali esperienze umane sono seminatrici di morte e quali ci aiutano a far crescere la qualità del nostro vivere? La Risurrezione è un test che va tarato sul nostro vissuto quotidiano, per scoprire dove il pungiglione della morte toglie energie al nostro incedere, ma anche a quali condizioni la nostra vita migliora. “La morte si sconta vivendo”, scriveva il grande Ungaretti, identificando le macerie della vita e della guerra con quelle che stanno dentro, nell’animo.  
Giusto per dire che ogni tempo ha le sue guerre, le sue trincee, i suoi nemici. L’importante è non mimetizzarli sotto le spoglie menzognere degli artifici culturali, quelli che nascondono il male chiamandolo libertà, progresso, diritto. Distinguere ciò che è mortifero da ciò che fa crescere la vita, è la prima caratteristica dei figli della Risurrezione.

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