Il Fatto di Bruno Fasani
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“Ciao bro!” e il desiderio di fratellanza

“Ciao bro”. Se non vi è mai capitato di sentirlo, vuol dire che non siete dei teen (così gli inglesi chiamano i ragazzi dai 13 ai 19 anni), oppure che non guardate Amici, della De Filippi, che non curiosate su Tik Tok, o su qualche altro passatempo digitale, dove i giovani buttano lì le loro narrazioni...

Parole chiave: Il Fatto (418), Bruno Fasani (326)
“Ciao bro!” e il desiderio di fratellanza

“Ciao bro”. Se non vi è mai capitato di sentirlo, vuol dire che non siete dei teen (così gli inglesi chiamano i ragazzi dai 13 ai 19 anni), oppure che non guardate Amici, della De Filippi, che non curiosate su Tik Tok, o su qualche altro passatempo digitale, dove i giovani buttano lì le loro narrazioni. Per farla breve, non siete vecchi come il cucco, ma qualche ragnatela anagrafica ve la portate addosso. “Ciao bro” viene dall’unione del saluto più universale al mondo con la contrazione dell’inglese brother, ossia fratello. “Ciao fratello”, detto col traduttore simultaneo. Anni fa, si era cominciato con “ciao fra’”, accompagnando il saluto con il gesto apotropaico delle corna. Non chiedetemi cosa vuol dire apotropaico. A suo tempo l’ho imparato anch’io, quindi andatelo a cercare sul vocabolario che, come diceva il maestro Manzi, non è mai troppo tardi.

Ora fratello è diventato brother e il saluto non si accompagna più al gesto scaramantico del chiudere due dita tra l’indice e il mignolo della mano. Il cambio di marcia è dovuto al fatto che la lingua di Albione è diventata sempre più indispensabile, come l’antibiotico e l’antitetanica, anche se poi non è detto che le cose funzionino sempre come dovrebbero, almeno finché c’è qualcuno che confonde horse (ossia il cavallo) con l’orso e dove (colomba) con un avverbio di luogo. Che poi sia caduto il gesto volgare delle corna, questo non ha nulla a vedere con l’aplomb britannico della regina Elisabetta, che notoriamente non è travasato nel Dna dei suoi eredi e tantomeno degli anglofili, sparsi in giro per il mondo.

Mi dicono che, ultimamente, accanto a “ciao bro”, stia venendo avanti anche “ciao mo”. Nessun rimando al “mo che famo?” di ceppo romanesco. Io l’ho sentito una sola volta, ma gli osservatori che hanno più tempo e, perché no?, anche più buontempo, mi dicono che sia espressione che sta sgomitando per farsi largo. Dove il “mo” sta semplicemente al posto di mother, ossia madre, se non avete il vocabolario a portata di mano. “Ciao mo”, stavolta al femminile, dove l’interlocutrice non è necessariamente una mamma, anzi. È il genere femminile a giustificarne l’uso. E allora che sia la profe, la badante o la conduttrice dell’autobus poco fa. “Ciao mo” si impone così su un improponibile “ciao si” (da sister, sorella) che si prestava ad un assenso più che a un saluto.

Fin qui lo stato dell’arte, giusta premessa per domandarci: perché?

Una prima ipotesi ci rimanda allo stile dell’era digitale, dove tutto vola a velocità impensabili. Tempo del sintetico e del sincronico, ossia della rapidità, della sintesi e dell’appiattimento sul presente. Tutto invecchia con ritmo frenetico. Le notizie sono superate dal continuo gettito delle informazioni di agenzia e lo zapping insegna che, come per le omelie, dopo poco tempo arriva un tedio insopportabile. Quindi tutto si fa snello, qualche volta anoressico, a cominciare dalle parole.

A questa prima ipotesi interpretativa, varrebbe la pena maliziare su una seconda. Perché mai i giovani sentono il bisogno di chiamarsi fratello, sia pure all’inglese e con lo sconto di sillabe? Si sa che il nostro è tempo di figli unici, con buona pace delle loro sempre più diffuse pinguedini mentali da privilegiati, a fronte del bisogno di fraternità vera, dentro le mura di casa. Il bisogno di fraternità, che il cristianesimo allarga oltre le pareti domestiche, rimane un dato imprescindibile del Dna umano. E perché mai rilanciare il ciao mo, nei tempi in cui tutto è madre, al maschile e al femminile, quando sembra che la verità sia solo un punto di vista?

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