Il Fatto di Bruno Fasani
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“Ci avete rotto il clima” e i gretini della politica

Con Greta Thunberg, quella che va in giro per il mondo a bacchettare per il clima, si può essere d’accordo o meno. Qualcuno ne vede l’incolpevole strumento in mano ad abili registi. Altri ne vedono l’interprete, saputella e antipatica, di un copione più grande di lei, dove peraltro ha imparato a muoversi, coccolata e gratificata, da esperta comunicatrice. Non sappiamo quale sarà il suo destino, quando si spegneranno le luci della ribalta e lei tornerà ad essere una qualunque, tra milioni di coetanei...

Parole chiave: Il Fatto (438), Bruno Fasani (347), Greta Thunberg (2), Clima (9), Ambiente (22)

Con Greta Thunberg, quella che va in giro per il mondo a bacchettare per il clima, si può essere d’accordo o meno. Qualcuno ne vede l’incolpevole strumento in mano ad abili registi. Altri ne vedono l’interprete, saputella e antipatica, di un copione più grande di lei, dove peraltro ha imparato a muoversi, coccolata e gratificata, da esperta comunicatrice. Non sappiamo quale sarà il suo destino, quando si spegneranno le luci della ribalta e lei tornerà ad essere una qualunque, tra milioni di coetanei.
Comunque la si pensi, Greta ha avuto il grande merito di entrare in scena al momento giusto, con il passo giusto e di aver risvegliato nella coscienza collettiva l’urgenza di farsi carico del creato. Neppure papa Francesco era riuscito a tanto con la sua bellissima enciclica, la Laudato si’ di qualche tempo fa. Segno che i frutti maturano solo quando è la stagione giusta e con i mezzi giusti. Nel caso di Greta un circo mediatico che le ha dato visibilità come a nessun altro in questo momento. E allora basta una ragazzina, stile Pippi Calzelunghe, a coinvolgere il mondo in una corale presa di coscienza.
Non so se tutti i ragazzi scesi in piazza abbiano chiare le idee su dove vorrebbero o vorranno andare. Erano gli anni ’60 quando la mia generazione protestava contro gli attentati in Alto Adige. Una pacchia, che dava legittimazione morale alla voglia di marinare la scuola o di evitare il compito in classe. Ma anche una opportunità per rendersi conto del problema e una provocazione a interrogarsi sulle cause del fenomeno. Non sempre la coscienza è capace di dare giustificazione razionale al perché si fa una cosa, o alle intuizioni che la attraversano. È solo il tempo a portare alla luce le radici che in essa si sedimentano, grazie alla seminagione di qualcuno che ne ha smosso la terra.
Vedere i giovani sfilare gridando: «Ci avete rotto il clima», non è soltanto una goliardica ribellione detta col linguaggio della primavera anagrafica, ma molto di più. È piuttosto il reimpadronirsi di una idealità, magari solo embrionale ma destinata a crescere, da parte di una gioventù che vuole emanciparsi dalle nebbie in cui l’abbiamo confinata. Quelle dei sogni da velina o di qualche isola in cui garantirsi un futuro svendendo privacy e dignità, quelle dello sballo, dei seni da rifare e dell’estetica in genere senza più anima. Le nebbie dove è scomparsa la parola sacrificio e responsabilità.
L’onda ecologista, da Milano a Sidney, da New York a Singapore, è il prologo di un Sessantotto ambientale che si affaccia sull’uscio delle stanze dei bottoni della politica. E non è soltanto lo svillaneggiante rimbrotto di giovani abituati bene. È qualcosa di più. È la voglia di protagonismo delle nuove generazioni, che aspettano di darsi un’ossatura, uno scheletro di sostegno per muoversi sulla scena.
Rida pure Trump. Ridano pure i poltroni, poltronai dell’Onu, o quelli nostrani, pronti a coniugare il diminutivo di Gretina, per nascondere l’offensiva considerazione che hanno per questa ragazza. Il domani è dietro l’angolo e sarà il tempo a dire chi erano i veri gretini.

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