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Le pene nella pena di morte

Sono passati esattamente 235 anni da quando Guillotin propose all’Assemblea costituente francese che tutti i condannati a morte subissero la decapitazione con la lama...

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Le pene nella pena di morte

Sono passati esattamente 235 anni da quando Guillotin propose all’Assemblea costituente francese che tutti i condannati a morte subissero la decapitazione con la lama. Prima, infatti, era riservata solo ai condannati aristocratici, mentre agli altri toccava impiccagione, rogo o altro di terribile, in base al reato e al rango. Fu accettato perché visto come un metodo umano, rispettoso della persona, che evitava inutili sofferenze. Non si metteva in discussione la pena di morte, ma si rinunciava a una sorta di necessità di far soffrire, che era vista come inevitabile per soddisfare la pena.

Dopo 235 anni la pena di morte non è assolutamente messa in discussione in alcuni Stati – oltre 50 praticamente in ogni latitudine e longitudine – e, anzi, sembra sollecitare parecchio l’idea di far soffrire. Se in alcuni Paesi viene tollerato che sia comminata la morte per lapidazione – mascherandosi dietro la scusa dei tribunali non statali –, ora gli Stati Uniti si uniscono a questo filone di dolore aprendosi alla prima uccisione per inalazione di azoto, che provoca morte per mancanza di ossigeno. Un nuovo metodo di esecuzione – il primo ad essere introdotto da oltre quarant’anni – che è stato “sperimentato” dallo stato dell’Alabama su Kenneth Eugene Smith, 58 anni.

Se si vuole andare di paradossi: un anno e mezzo fa Smith si era salvato all’ultimo dall’iniezione letale perché le flebo erano state inserite in tempi non conformi alla legge e questa volta gli hanno applicato una pena che lo ha portato alla morte in 40 minuti, di cui gli ultimi 10 con atroci sofferenze; il condannato ha speso le ultime parole per dire gratitudine, pace, amore, mentre il procuratore generale Steve Marshall si è limitato a parlare di una giustizia necessaria per un atto spregevole del 1988; le Nazioni unite accusano lo Stato di utilizzare un metodo troppo crudele, ma poco risultano incisive nel cercare di rendere effettive le risoluzioni per avere almeno una moratoria. E così si continua, aspettando la prossima volta che – trovando purtroppo gente che li ascolta ancora – ci diranno che si tratta di fare giustizia, che questo serve a dissuadere dal compiere reati, che “sì, lo faremo morire, ma questa volta senza che soffra...”.

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