Commento al Vangelo domenicale
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Coltivare una missione attenta all’esistenza

Marco 6,7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Coltivare una missione attenta all’esistenza

Così si esprime il Concilio Vaticano II riguardo al tema della missione: “La Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria” e “Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere, per quanto gli è possibile, la fede”. Queste e altre espressioni conciliari raccolgono il filo di una tradizione antichissima che può idealmente annodarsi all’ardore missionario di san Paolo e alla sua celebre esclamazione: “Guai a me se non annunciassi il Vangelo!”.
Il Vangelo ribadisce questo tema, esaltando soprattutto la sua radice che affonda nel mistero stesso di Dio. Mistero per sua scelta comunicato al mondo tramite i suoi inviati. Infatti, come diceva un antico proverbio rabbinico: “L’inviato è come se fosse colui che lo invia”.
La missione degli apostoli è un’eco e un ampliamento dell’attività di Gesù. Con  questa finalità era stato costituito il gruppo dei Dodici. Qui viene ripresa e completata la definizione del loro ruolo. Sono mandati a due a due, formando una sorta di équipe missionaria in linea con l’uso giudaico di evangelizzare condividendo l’esperienza con almeno un’altra persona.
Non viene precisato dall’evangelista dove devono andare o che cosa devono fare e dire. L’istruzione di Gesù si sofferma piuttosto sui requisiti essenziali dell’inviato: deve essere una persona libera e totalmente disponibile per il suo compito. Libertà e disponibilità sono rese evidenti dalla mancanza di sicurezza materiale. Non si tratta di un “manuale del missionario”, di ciò che è permesso portare o comprare o vestire. Sono tanto poco rilevanti le singole prescrizioni che gli evangelisti Marco, Matteo e Luca riportano a questo riguardo indicazioni diverse e talvolta un po’ contraddittorie.
Come Gesù ha sperimentato il rifiuto e l’incredulità addirittura tra i suoi conterranei, anche gli inviati non devono escludere un simile trattamento, mettendo in conto le difficoltà, le incomprensioni e persino il rifiuto. Se ciò si verificasse, non sarebbe messa in discussione la bontà della loro azione o delle parole pronunciate nel nome di Gesù, bensì il destino stesso di coloro che rifiutano il messaggio e la loro testimonianza. Il gesto proverbiale di separazione dei Giudei, che scuotevano la polvere dei sandali quando rientravano nella Palestina – per loro terra benedetta, perché concessa da Dio – dal territorio pagano, esprime molto bene la serietà dell’annuncio missionario.
Gesù indirizza ai discepoli un breve appello centrato sulla povertà, sul coraggio e sui rischi del viaggio. La loro missione non sarà solenne e raffinata, condita di folle plaudenti e di successi. Anzi, conoscerà il rifiuto, espresso da porte che si chiudono, da orecchi che ignorano, addirittura da bocche che scherniscono.
Il Vangelo diventa uno stimolo per verificare la propria mentalità missionaria, per renderla significativa nel presente e per viverla come risposta alle domande suscitate dalla vita. Dal devastante periodo della pandemia, che tanti danni ha fatto anche a livello spirituale, sta emergendo in più contesti un aspetto che non va sottovalutato, un virgulto che non va soffocato, ovvero il desiderio manifestato da tante persone di riprendere in mano il Vangelo e i temi essenziali della vita e della fede. Una risposta missionaria a chilometro zero potrebbe consistere nell’offrire percorsi ben calibrati sia per chi ha già, di fatto, aderito alla fede, sia per coloro che si accostano per la prima volta all’annuncio cristiano oppure desiderano riscoprire una fede rimasta a livello infantile e poi, di fatto, abbandonata.
A questo riguardo torna in mente un suggerimento uscito dalla bocca di uno tra i più noti psichiatri italiani durante un’appassionata conferenza nella scuola cattolica in cui aveva studiato tanti anni prima. Egli, dichiarando che nel tempo della sua formazione giovanile manifestava una convinta adesione di fede poi consapevolmente abbandonata per diversi motivi, confidò l’importanza di annunciare il Vangelo. E agli educatori disse: «Per favore, non perdetevi in questioni meschine. Parlate di Gesù e della sua passione per la vita».

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