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«La Chiesa non necessita di “quote rosa”, ma di valorizzare il femminile»

di LUCA PASSARINI 
Di Berardino ne ha parlato in Vaticano al Consiglio dei Cardinali

«La Chiesa non necessita di “quote rosa”, ma di valorizzare il femminile»

di LUCA PASSARINI 
Giuliva Di Berardino, consacrata dell’Ordo Virginum della Diocesi di Verona, insegnante e responsabile di corsi di spiritualità ed esercizi spirituali, è stata invitata in Vaticano per la riunione di febbraio del Consiglio dei Cardinali sul ruolo femminile nella Chiesa. Con lei, la reverenda Jo Bailey Wells, vescovo della Chiesa d’Inghilterra; e suor Linda Pocher, con la quale si sono incrociate in questi anni in alcuni corsi di spiritualità. 
«Un’occasione di comunione forte – racconta Di Berardino – prima tra le invitate, e poi con i cardinali; ho notato una grande apertura e una grande disponibilità all’ascolto, da parte del Papa e del Consiglio».
Avvertendoci che non può entrare troppo nel contenuto del dialogo e nemmeno in quello degli interventi, che verranno pubblicati nei prossimi mesi, ci condivide una sua ulteriore riflessione: «Tante donne vivono dimensioni di servizio nella Chiesa e credo che la questione vera sia trovare il modo migliore per l’oggi di dare valore a quello che esse svolgono. Non si tratta di istituire le “quote rosa”, ma di riscoprire tutti quanti, uomini e donne, che il linguaggio e la modalità nella Chiesa non è quello della cultura imperante basata sul dominio, ma di Cristo sacerdote e servo ovvero il servizio, il principio di esser sottomessi gli uni agli altri, come leggiamo nella Lettera agli Efesini». 
Precisa pensando alla lettura distorta che spesso se ne fa di questi versetti: «Non si tratta di dire che la donna deve essere sottomessa all’uomo, ma che tra moglie e marito vediamo la realizzazione ideale: ovvero la vicendevole sottomissione nell’amore».  Continua: «È qualcosa di naturale e di tutta la creazione, perché in un corpo tutte le membra sono in relazione, e non può che essere così. Ciò che spesso manca o che si perde è la consapevolezza di essere corpo; l’auto-referenzialità, l’andare ognuno per conto suo, il vivere il proprio ruolo nella Chiesa come dominio viene da qui, è un problema relazionale. Invece ognuno, e in particolare chi fa parte del clero, dovrebbe far memoria che la propria vocazione è quella di valorizzare l’altro, considerandolo migliore di se stesso». Quindi aggiunge: «È in forza del dono del battesimo, e non dell’essere uomo o donna, che viviamo la Chiesa e per la Chiesa».
Entrando più nella vicenda personale, raccontata già nei mesi scorsi su queste pagine, sottolinea: «La mia vita e la mia storia di consacrata, come quella di tutti, è fatta di gioie e di dolori, di grandi soddisfazioni e fallimenti, con questi ultimi che sono stati occasione, nella fede e nell’amore a Gesù, di una maggior conoscenza di Dio, della Chiesa, della gente e di me stessa». 
Tutto questo la porta a dire: «Non si tratta di buttar via tutto il sistema della struttura ecclesiale, ma di vederlo e viverlo come un organismo in relazione dove ogni servizio, da quello più nascosto a quello dei ministri ordinati, è a favore del corpo; questo, tra l’altro, è il modo per rendere il tutto più coinvolgente e più armonico. Si tratta di corresponsabilità o, meglio, mi piace dire di co-umiltà». Quindi ci confida quello che esce spesso nel suo confronto con alcuni preti: «Mi piace ricordare che la loro responsabilità e la vera cura pastorale a loro affidata non è tanto quella del fare tante attività, ma di dare alla comunità uno stile e un clima di familiarità, benevolenza, attenzione verso gli altri». Aggiunge in forza della sua collaborazione con l’Ufficio liturgico diocesano: «C’è un grande problema formativo nelle nostre comunità, che è alla base di alcune situazioni che tradiscono l’aspetto di una Chiesa che sia collaborazione tra diverse ministerialità, soprattutto quando vediamo la corsa ad alcuni ministeri e alla concentrazione di tanti servizi in poche persone togliendo spazio ad altri. Su questo dobbiamo lavorare, molto e insieme».
Volgendo lo sguardo al passato Giuliva Di Berardino ricorda: «Nella storia della Chiesa cattolica non si può non notare l’importanza di alcune donne che hanno dato un impulso spirituale non da poco, offrendo visioni nuove al mondo in cui vivevano, portando nuovi doni e nuovi stimoli al popolo cristiano. Nei secoli, tante altre sono state tenute in disparte, con varie motivazioni, tra cui il fatto che il loro corpo più di quello maschile entra in contatto con il mistero della vita e per questo a loro veniva al massimo concesso di essere valorizzate nelle situazioni spirituali; inoltre erano considerate pastoralmente non abbastanza formate, ma essenzialmente per una eccessiva prudenza legata pure al fatto che non potevano accedere agli studi teologici». 
Avvicinandosi ai nostri giorni, rilancia: «Il Concilio Vaticano II è stato profetico anche nella valorizzazione delle donne, con anticipo rispetto a tante istituzioni; già in quel contesto si parlava di alcuni ministeri ecclesiali che potevano essere donati a loro e tutto è stato affidato a un cammino di discernimento. Oggi alcune figure sono molto apprezzate nella Chiesa, mentre anche nelle nostre parrocchie trova nuovo valore la presenza delle tante donne, che ormai sono la quasi totalità in alcune realtà».  Quindi uno sguardo in avanti: «Dalla valorizzazione di queste donne può nascere o rinascere qualcosa di nuovo che non è rinnovare le strategie, ma riscoprire tutti la bellezza di essere Chiesa e di vivere profondamente il proprio ministero per la Chiesa».

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