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Dal buso del gato sono usciti Saltucchio e Caterina

di LUIGI FERRARI 
Aneddoti veronesi sul Carnevale e la sua lunga storia

Dal buso del gato sono usciti Saltucchio e Caterina

di LUIGI FERRARI 
Diventerebbe una noia, sia per chi scrive sia per chi legge, tornare sullo stesso spartito imparato ormai a memoria. Ma ci si rallegra quando si scoprono “note” nuove che soddisfano la curiosità. Così è per il Carnevale e le sue origini.
Conosciamo la storia di Tommaso da Vico che si vuole padre del Bacanal del gnoco, e altre notizie giunteci da emeriti cronisti veronesi come Giovanni Battista Benciolini, Girolamo Dalla Corte, Pietro Zagata, il nobile Alessandro Carli, Tullio Lenotti e il più modesto libraio Gianalberto Tumermani. Alla lista si aggiungano tale Alessandro Torri, che dette alle stampe un suo lavoro nel 1818 per poi integrarlo e riproporlo nel 1847, e Claudio Bismara dal cui saggio Il carnevale a Verona e nel suo territorio tra XV e XVI secolo: una storia documentata (ottobre 2022) sono state estrapolate le pillole che seguono. Un anonimo autore riporta nel 1862 come si svolse l’evento nel 1860, chiarendoci che il bacanal era un’usanza antichissima, ma cessò di celebrarsi per una quindicina di anni, quando al podestà di Verona, Giacomo Bragadino, nel 1592 parve buona cosa riesumare per assecondare il desiderio popolare. Fu un’occasione per smontare le radicate credenze sul lascito del Da Vico, sul fatto che le spese venivano sostenute col provento del dazio sulle castagne e sulle olive ma solo con il ricavato dalle condanne pecuniarie (leggi “multe”) emesse da detto podestà.
A mettere la ciliegina sulla torta ci pensò nel 1922 Vittorio Fainelli, direttore della Biblioteca Civica di Verona (di lui abbiamo tracciato un breve profilo nella rubrica Molto illustri, poco conosciuti del 29 gennaio 2023, p. 10, ndr), che fa risalire la celebrazione del Carnevale agli anni 1509 e 1510, quando i frati di Santa Maria della Scala registrarono sui libri contabili d’aver sostenuto una spesa per l’acquisto di formaggio e burro (butiro o smalso) per rendere più appetitosi gnocchi o macaroni, lasagne o bìgoli cucinati in occasione del véneri casolaro; sia ben chiaro: per i frati del convento, Carnevale era Carnevale anche per loro e a riprendere il digiuno e la penitenza quaresimale ci avrebbero pensato il giorno successivo. Nel 1994, anche il giornalista e scrittore Pierpaolo Brugnoli si unì ai colleghi, presentando la lista della spesa che si sostenne per celebrare degnamente le edizioni del 1595, 1596 e 1598. Quello che nel XVI secolo riguardava i fatti cittadini non era lo specchio di quanto avveniva in campagna, dove il Carnevale cominciava il giorno dopo l’Epifania. Ed era un bel cruccio per gli amministratori, che si videro costretti a emettere ordinanze che vietavano, in occasione delle feste da ballo, l’uso di maschere o travestimenti dietro le quali potevano nascondersi malintenzionati pronti a ogni sorta di dissoluzione, nonché portare armi offensive di sorta, pena l’applicazione di sanzioni monetarie.
Siccome il Carnevale non conosceva confini e non c’era paese della provincia di Verona che venisse sollevato da tali obblighi, riportiamo l’esempio che interessò San Martino Buon Albergo in occasione di quello del 1575: furono revocate (dal podestà di Verona) alcune licenze per feste con balli, “essendo alcuni che hanno inimicizie, per ovviare a scandali”. È passato quasi mezzo millennio, ma abbiamo capito che cercar di indirizzare le cose per il verso giusto non è una scoperta dell’altro ieri. Per non fare torto a nessuno, si dica che dal 1952 – anno in cui è stata portata alla ribalta dal concittadino Mario Marcolini – si è unita al corteo dei vari Duca de la pignata, inventata il 1884, e Dio de l’oro (Santo Stefano), Simeon de l’Isolo (Veronetta), Principe Reboano de la concordia, realmente esistito nel 1400 (Filippini), Sior de la Spianà (Stadio), Duca de la pearà (S. Lucia) e altri/e anche di recentissimo ripescaggio o invenzione, una maschera diventata sempre più famosa: di tratta del Re del buso del gato che rappresenta il quartiere di Porto San Pancrazio (per i veronesi dell’ultima generazione, si dica che il “buso del gato” – da “busegato” = bugigattolo – è il sottopassaggio lungo circa 500 metri ricavato nel 1847 a seguito della costruzione della stazione ferroviaria di Porta Vescovo, che dal medesimo piazzale sbocca in via Galileo Galilei).
Era talmente brutto quel sostantivo (grazie all’aria montebaldina, a inventarsele i veronesi son fatti apposta) che si decise di cambiarlo affiancando a quel “re” una “regina” (la moglie), entrambi nati, secondo la leggenda che risale al 1622, proprio a Porto San Pancrazio. Quella maschera prese il plurale e divenne Re Saltucchio e la Regina Caterina. Gli scodinzolano attorno gli appartenenti all’associazione folkloristica “Ciclisti d’altri tempi”, che esibiscono... mezzi di locomozione tanto curiosi che il ridere vien da sé. Anche loro, come il resto dell’allegra brigata, inchinati sempre – lo si voglia o no – a sua maestà el Papà del Gnoco. Anche quest’anno, passati i momenti delle “burrascose” campagne elettorali soggette a protocolli non proprio trascurabili, delle investiture decise tra vere bicchierate e finti campanilismi, e dei piatti colmi de gnochi, cròstoli, frìtole, bugie, chiacchere e sòssole (chiamateli come vi pare), assisteremo alla fantasmagorica e coloratissima sfilata di maschere locali, nazionali e internazionali capaci di attirare fiumi di persone lungo il percorso chilometrico disegnato dalla fantasia degli addetti ai lavori, supportati a loro volta dal personale ingaggiato e istruito in modo che la chermesse si concluda nel migliore dei modi. Restano sempre valide due raccomandazioni. Prima: in quel frenetico pomeriggio riempito di fuggevole (ma necessaria) spensieratezza, lancio di coriandoli, suoni di bande paesane e piroette di majorette, ricordiamoci di tutti quei volontari che per mesi hanno messo le mani in pasta per dar forma ai carri allegorici che tendono a smascherare più i vizi che le virtù di certi personaggi pubblici. Seconda: non fidiamoci troppo del detto: “A Carnevale ogni scherzo vale”; con i tempi che corrono è facile trovarsi inguaiati... e la festa è bell’e rovinata. 

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