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«La benzina della Gmg muoverà molti giovani nella giusta direzione»

di ANDREA ACCORDINI
Don Malosto: risposta impressionante, momento che ri-orienterà tante vite

 

«La benzina della Gmg muoverà molti giovani nella giusta direzione»

di ANDREA ACCORDINI
Un mesetto fa oltre 1.200 giovani veronesi erano a Lisbona per vivere la Giornata mondiale della gioventù con papa Francesco e con i pellegrini di ogni continente. Smaltiti i postumi del lungo viaggio, è tempo di bilanci e di riflessioni su un evento che potrà sicuramente avere ricadute sulle parrocchie della diocesi già con le attività autunnali. Ne abbiamo parlato con don Matteo Malosto, direttore del Centro diocesano di pastorale adolescenti e giovani, che ha organizzato e coordinato “l’esodo” dei pellegrini veronesi.
– Don Matteo, innanzitutto quali sono le sue impressioni su questa Gmg?
«È stata un’esperienza di grazia. Certo non facile, ma molto molto bella. I rimandi che abbiamo ricevuto, anche dai preti e dai “capibus”, sono stati di un pellegrinaggio che ha inciso in chi vi ha preso parte. Va detto che i ragazzi hanno messo molto del loro: avrebbero avuto mille e più motivi per lamentarsi delle scomodità, degli imprevisti, degli inconvenienti... e invece hanno affrontato tutto con uno spirito propositivo, così come avevamo chiesto sin dai primi incontri. Riprendendo un’immagine che abbiamo affidato loro, davanti alla scelta tra il filo bianco dell’ottimismo e della positività e il filo nero delle lamentele e del pessimismo, loro hanno sempre scelto il primo e questo ha fatto tutta la differenza: ha trasformato le difficoltà in opportunità. Penso ad esempio allo scomodo viaggio in pullman di oltre 5mila chilometri, che alla fine si è rivelato utile per creare o consolidare legami vicariali. Troppo spesso pensiamo che i giovani non siano più abituati a fare fatica, ma questo non è vero. Forse siamo noi che non riusciamo più a fornire loro una ragione per fare fatica».
– Qual è il messaggio lanciato da questa Gmg?
«Di significati e spunti su cui riflettere ce ne sarebbero molti. Come sempre, papa Francesco è riuscito a parlare al cuore dei giovani, facendo leva sulla semplicità: è stato molto diretto e concentrato più sul trasmettere bellezza e incoraggiamenti, anziché fornire giudizi morali e reprimere condotte scorrette. E forse un primo messaggio per noi operatori pastorali è proprio questo: nella nostra attività dobbiamo sempre privilegiare e promuovere prima di tutto la vita bella, la vita piena, che nasce dall’incontro personale con Cristo. Poi, se vogliamo, le parole del Santo Padre sono sempre “scomodanti”, perché chiamano tutti a badare non solo alla propria felicità, ma anche alla felicità degli altri, che non possono che andare di pari passo. Quanto vissuto e sperimentato in prima persona deve diventare allora impegno quotidiano, anche nei campi sociale e civile, mettendoci a servizio gli uni degli altri».
– C’è un episodio o un ricordo che le è rimasto impresso?
«Ci sono due momenti che mi hanno colpito. Il primo è la catechesi del venerdì col nostro vescovo Domenico: l’intensità con cui è stata vissuta dai giovani, che si è poi riversata sul momento delle confessioni e della preghiera di intercessione l’uno per l’altro. Una testimonianza del bisogno di spiritualità e di proposte “alte” che li abita. La seconda riguarda invece la serata della veglia: due giovanissime ragazze francesi erano smarrite nel marasma dell’affollatissimo Campo da Graça; le abbiamo accolte e affidate a uno dei nostri gruppi che le ha “adottate” per la serata e per la notte. Un episodio che, a mio avviso, testimonia la forza della fraternità nella fede e che le relazioni originate da essa hanno la potenzialità di farci risorgere dalla morte».
– Dal punto di vista spirituale, cosa ha lasciato il segno?
«Personalmente sono molto contento sia della proposta spirituale in sé, che di come i ragazzi l’hanno accolta. Impressionanti sono stati i silenzi pregni di significato durante le catechesi e le celebrazioni; l’apice è stato ovviamente la veglia, quando un milione e mezzo di pellegrini si è zittito totalmente al momento dell’esposizione del Santissimo: da pelle d’oca. Ma nel complesso mi è piaciuto l’alternarsi di momenti di euforia, trambusto ed entusiasmo incontenibili, con momenti di introspezione, di preghiera, di ascolto autentici».
– Come Diocesi, invece, cosa “portiamo a casa”?
«Beh, sicuramente abbiamo riassaporato la bellezza di una Chiesa ricca di preti e laici che si mettono a servizio dei nostri giovani, ricordando a tutti che ogni passo che compiamo nella fede, lo dobbiamo sempre a qualcun altro che ci sta davanti, anzi, meglio: che ci sta a fianco. Nell’organizzazione abbiamo dato piena fiducia ai preti responsabili dei singoli itinerari e ai laici che, per fare un esempio, hanno gestito i momenti di catechesi, introducendo, guidando e accompagnando con la testimonianza le omelie dei vescovi. Un’esperienza di sinodalità autentica che mi piacerebbe divenisse l’emblema della Pastorale giovanile diocesana. Sarebbe bello che proprio su questa sinodalità si originasse il servizio del Cpag alle parrocchie, le vere protagoniste dell’attività pastorale sul territorio, a cui noi vogliamo affiancarci per il coordinamento e il supporto, integrando alle loro proposte alcune attività di respiro diocesano. Penso al Meeting, al pellegrinaggio in Terra Santa o alla Preghiera giovani che torna quest’anno a cadenza mensile».
– E quindi adesso da dove si riparte?
«Non c’è da ripartire: la parte più importante della Gmg dobbiamo ancora viverla. Questi appuntamenti hanno la potenzialità di riorientare le vite, lasciando intuizioni, sensazioni, ispirazioni nei cuori di chi le vive, che poi dovrà tradurle in scelte concrete, piccole o grandi che siano. E noi come Chiesa siamo chiamati ad accompagnarli nel discernimento e nella rilettura dell’esperienza in chiave vocazionale». 

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