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L’inflazione che ci impoverisce: a Verona prezzi impazziti

di RENZO COCCO

Qui pesano gli aumenti in tutto il settore turistico, meno sul carrello della spesa

Parole chiave: Economia (128), Verona (223)
L’inflazione che ci impoverisce: a Verona prezzi impazziti

di RENZO COCCO

Da oltre un anno a questa parte le Banche centrale europea e americana, con l’adozione di ripetuti e consistenti aumenti dei tassi di interesse, sono impegnate in una lotta senza quartiere contro la crescita dell’inflazione: un nemico subdolo dagli effetti nascosti, ma devastanti in particolare per i ceti popolari. Bisogna risalire al 1985 (vale a dire a ben 38 anni fa!) per ritrovare tassi di inflazione a due cifre che ci riportano ai nostri giorni.

Dopo i picchi raggiunti nei mesi scorsi, la dinamica inflazionista ha iniziato finalmente a rallentare. In Italia, dal +8,7% di aprile si è scesi al 7,6% di maggio e al 6,4% di giugno, anche se il “carrello della spesa” (ed è quello che più interessa alle famiglie) segna per lo stesso mese un +10,5%!

Luigi Einaudi, che fu prima Governatore della Banca d’Italia e poi presidente della Repubblica, definiva l’inflazione “la più iniqua delle tasse”, perché colpisce in modo particolare le categorie deboli, quelle che non sono in grado di difendere risparmi e salari e che destinano la maggior parte di questi all’acquisto dei beni di prima necessità (alimentari, vestiario, salute, scuola).

È una tassa ingiusta che premia i debitori che vedono “svalutarsi” i loro debiti; i detentori di rendite monopolistiche così come i produttori che possono scaricare (chi in toto e chi in parte) gli aumenti sui prezzi finali dei beni e dei servizi acquistati dai consumatori; e infine (ma fino ad un certo punto) lo Stato, che vede svalutarsi lo stock del debito pubblico (2.812 miliardi di euro ad oggi!), ma dall’altra è chiamato a pagare interessi più alti sui titoli di nuova emissione, con un risultato finale non sempre a somma positiva.

Occorre fare i conti con quella che gli economisti chiamano “l’illusione monetaria”. Ciò che vale non è infatti il valore nominale della moneta, ma il potere d’acquisto reale di beni e servizi. L’aumento dei prezzi riduce tale capacità, impoverendo i percettori di reddito.

Una recente indagine dell’Ocse ha evidenziato che, in un solo anno, i salari reali in Europa sono diminuiti mediamente del 3,8% (Germania –3,2%; Spagna –4% e Italia –7,5%: il dato più alto tra i Paesi industrializzati). L’inflazione è “una bestia nera” e la cura se somministrata in dosi eccessive può rivelarsi perniciosa per l’economia.

Gli effetti immediati sono sotto gli occhi di tutti: riduzione dei consumi intermedi e finali; perdita di valore dei risparmi e raddoppio delle rate di mutuo a tasso variabile delle famiglie; aumento significativo del costo e conseguente riduzione del credito erogato alle imprese.

In Veneto il calo della domanda di prestiti da parte del sistema industriale è stato nella prima parte dell’anno dell’1,9% cui è seguito un rallentamento della produzione industriale e degli investimenti. Il pericolo è che il giusto obiettivo di raffreddare l'inflazione riportandola al parametro del 2% fissato dall'Ue si trasformi in una "gelata" delle attività produttive e, ancor peggio, in una pesante recessione economica. Non è un caso che da tempo le associazioni imprenditoriali, anche venete, stiano segnalando con forza questa possibile deriva, che andrebbe a tarpare la crescita economica in atto.

Lo stesso Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’intervento all’assemblea dell’Associazione bancaria italiana tenutasi il 5 luglio scorso, ha sottolineato come convenga “procedere con la necessaria prudenza al fine di evitare indesiderate ripercussioni sull’attività economica, sulla stabilità finanziaria e sulla stessa stabilità dei prezzi nel medio termine”. 

In questo contesto Verona risulta essere un interessante “caso di studio".Le statistiche documentano che la nostra città mostra (dopo Venezia) una dinamica di aumento dei prezzi nettamente superiore alla media regionale e nazionale. 

Il settore maggiormente coinvolto è quello turistico e la complessa filiera che lo compone. Si registrano aumenti che vanno dal 30 all’80% dei prezzi di hotel, ristoranti e più in generale di tutto il comparto dell’ospitalità-ristorazione, di parchi divertimenti, dei trasporti e di altri servizi che ne sono parte integrante.

Alcuni amici italiani e stranieri che hanno soggiornato a Verona in questo periodo di festival areniano, ci hanno detto di aver trovato, rispetto allo scorso anno, i prezzi raddoppiati. Incrementi più contenuti, seppur generalizzati, si sono avuti per i beni alimentari (frutta, verdura, carne) grazie all’azione calmieratrice messa in atto dalla grande distribuzione che ha “scaricato” solo in parte i costi aggiuntivi sui prezzi di vendita.

Dunque, per le molteplici ragioni ricordate, è interesse di tutti che l’ondata inflazionistica venga al più presto domata. Quanto sta accadendo pone infine una riflessione in merito al livello di competitività nel medio e lungo termine del sistema turistico veronese.

Il devastante fuggi-fuggi dei turisti che si sta registrando in questi mesi nella vicina Croazia a causa dell’impennata dei prezzi (con grande gioia degli albergatori friulani e veneti) può costituire – mutatis mutandis – un campanello d’allarme cui prestare la dovuta attenzione?

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