Il cibo è prezioso costa fatica e non tutti lo hanno

“Gnam, pappa buona!” o “Arriva..., arriva... un carico di...”: con mille e più varianti quante sono le famiglie, ogni casa è abituata a sentire incitamenti perché i piccoli mangino. Il cibo è vita e ne facciamo esperienza fin dai primi giorni: senza non si cresce, ma è anche vero che tramite il cibo si instaurano le relazioni più strette fra genitori e figli.

February 25, 2018

| DI Giovanni Maria Capetta

“Gnam, pappa buona!” o “Arriva..., arriva... un carico di...”: con mille e più varianti quante sono le famiglie, ogni casa è abituata a sentire incitamenti perché i piccoli mangino. Il cibo è vita e ne facciamo esperienza fin dai primi giorni: senza non si cresce, ma è anche vero che tramite il cibo si instaurano le relazioni più strette fra genitori e figli. C’è un rapporto quasi fisico fra nutrire ed educare e i padri e le madri che passavano notti insonni per i pianti e le poppate, si ritrovano quasi senza soluzione di continuità a cercare di controllare l’alimentazione dei figli adolescenti spesso in bilico nell’eccedere in troppo o troppo poco cibo.
Fin da quando, spensierati, eravamo un bersaglio semovente sul seggiolone e l’adulto di turno cercava di mirarci la bocca col cucchiaio pieno di omogeneizzato, abbiamo fatto l’esperienza che il cibo è prezioso. Prima inconsciamente sentendo un po’ di disagio per ciò che non ingurgitavamo perché spalmato ovunque nel nostro raggio d’azione, poi  anno dopo anno, perché abbiamo iniziato ad assimilare insieme ai principi nutritivi, qualche principio morale assortito insieme alla pietanza. Molti della mia generazione ricorderanno che era abbastanza usuale richiamare i ragazzi che tendevano ad avanzare qualcosa, che in India o in Africa c’era chi con quei resti avrebbe fatto un pranzo. Spinte da questo ancestrale senso di colpa di appartenere all’opulento mondo occidentale, schiere di coetanei hanno ingurgitato a forza cucchiate di minestre di verdure più o meno ostiche per giovani palati (chissà mai perché). Chissà se questa antica usanza abbia ancora posto sulle nostre tavole? La sensazione è che la pratica del rimorso no-global, anche in chiave cristiana, si stia ritirando e che la cultura dello spreco e dello scarto – nonostante i tanti richiami di papa Francesco – alberghi sovrana anche durante i pranzi delle nostre famiglie. Quanto insistiamo perché il piatto sia pulito? Quanto ci preoccupiamo di valorizzare gli avanzi e fare in modo che non si buttino ogni giorno grandi quantità di cibo? Una severità sana in tal senso dovrebbe forse riprendere piede nelle nostre famiglie, un sobrio ma fermo rispetto di ciò che viene messo in tavola, della fatica di chi l’ha preparato, fino al negoziante e al coltivatore. Vedere nel cibo il volto di chi ha faticato perché fosse nel tuo piatto e riuscire a far sentire questo valore a chi ancora piccolo non sa o fa finta di non sapere. Vedere in quel piatto di pasta sempre uguale, ma rassicurante, l’amore di una madre che anche quando è in vacanza “non chiude mai”. Saper accorgersi di questo, come figli, come coniugi, non essere avari di apprezzamenti è una forma di gratitudine senza la quale è difficile ringraziare il Padre nostro per il pane quotidiano, ma le preghiere a tavola sono un’altra portata...

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