Nell’analizzare il rapporto esistente tra fede ed economia, Luigino Bruni scrive che “senza fides un vecchio non getta nel terreno un seme di quercia”, per indicare quanto la fiducia sia fondamentale per la generazione di mercati efficienti e produttivi. Non c’è dubbio che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, abbia da tempo puntato sull’effetto-annuncio per generare fiducia nel Paese e dare ad esso una chance di ripartire dopo anni di stasi e recessione; sono convinto che ci sia anche questo dietro alla conferenza stampa di fine anno che ha presentato i risultati economici del 2015, perché nessuno può – oggi – essere così ingenuo da pensare che dopo una “notte” così lunga, l’economia italiana possa risollevarsi grazie solo ad interventi normativi, per quanto illuminati.
Renzi ha ripetuto che l’Italia è ripartita, in termini sia di posti di lavoro a tempo indeterminato sia di prodotto interno lordo, mentre la pressione fiscale sta scendendo. Dunque, la sintesi della comunicazione è che l’azione del Governo funziona e produce frutti già nell’immediato.
Se, tuttavia, si guarda con attenzione ai risultati, si vede che essi hanno più il significato di “inviti all’ottimismo” che di veri e propri segnali di ripresa; sul lato del lavoro, ad esempio, i dati sono contrastanti, atteso che il bollettino Istat di dicembre parla di un rallentamento del lavoro nei mesi autunnali, in contrasto con i dati ottimistici del Governo. La ricchezza del Paese è effettivamente cresciuta, anche più del previsto in termini di Pil, ma si tratta ancora di segnali deboli e non consolidati, nonché molto condizionati dalla forte azione della Banca Centrale Europea.
L’Italia ha, dunque, bisogno di fiducia e non solo di ottimismo; per un Governo che si presenta come capace di fare “presto e bene” (connubio che un tempo, si diceva, “non conviene”), troppe sono le questioni cruciali accantonate che rischiano di rivelarsi un boomerang nel medio periodo. Ne cito tre: in primis, la questione della solidarietà “generazionale”, legata al sistema pensionistico, riformato su base contabile con la Legge Fornero, ma foriero di cronici problemi di equità, oltreché di reale sostenibilità per il cittadino (di oggi e, soprattutto, di domani), come ha sottolineato il presidente dell’Inps Boeri.
Ancora, ci troviamo di fronte all’assenza di un approccio equo alla questione fiscale: il taglio lineare dell’imposta sulla casa (di dubbia progressività) e la persistente assenza di soggettività fiscale della famiglia non vanno nella direzione giusta.
Infine, l’istituzione di una sorta di rapporto “a tu per tu” tra Governo ed elettore (che dire, in tal senso, della “mancia” di 500 euro ai neodiciottenni?): tale approccio rischia di demolire la “rete di prossimità” che genera relazioni e, dunque, fiducia profonda, a favore di un’istanza personalistica della politica. Terminando ancora con le parole di Bruni: “Se oggi non ritroviamo e riattiviamo tutte le dimensioni della fides, a partire dai territori, nessuna manovra e nessun governo ci potrà veramente salvare”.