La notte si è stemperata e si è aperta sulla Luce per A-7713, deportato dal natio villaggio di Sighet nei Carpazi ad Auschwitz, dove giunse il 6 maggio 1944: “Non dimenticherò mai quelle fiamme che consumarono la mia Fede per sempre”. Seguirono Buna e Buchenwald. Per la follia nazista l’ebreo quindicenne Elie Wiesel era uno stück, un pezzo. Niente di più. Vinta la sciagurata ideologia dello sterminio, divenne invece memoria vivente ed infuocata con tanti racconti, articoli, interventi, Premio Nobel per la Pace nel 1986 e ancora di più: annunciatore di Shalom.
L’annuncio della conclusione del suo peregrinare dalla storia non poteva che provenire dallo Yad Washem di Gerusalemme: luogo della memoria della Shoah, del suo scempio orribile, “chi non ha vissuto la morte laggiù non capirà mai ciò che noi, i sopravvissuti, vi abbiamo patito dal mattino alla sera, sotto un cielo muto”, ma pure della rinascita incontenibile del popolo d’Israele. Quanto si incise a fuoco sulla pelle e sulla vita dell’adolescente, si tramutò in una propulsione inesausta: “In verità, per l’ebreo che io sono, Auschwitz rappresenta una tragedia umana ma anche – e soprattutto – uno scandalo teologico. Per me è un fatto innegabile: è impossibile accettare Auschwitz con Dio né senza Dio. Ma allora come comprendere il Suo silenzio?”.
Dio quindi divenne il suo interlocutore, Colui che non si staccò mai più dal suo fianco, dal suo io, dal suo pensiero e da tutta la sua vita.
Lo scandalo religioso, il dolore umano, le continue vessazioni e violenze sotto tutti i paralleli e i meridiani del nostro pianeta furono per Elie Wiesel ragione di vita, secondo l’imperativo ebraico che ruggiva in lui: sceglierai la vita. “La Torah insegna a scegliere la vita. Credo nell’umanità contro l’umanità. Credo in Dio contro Dio”.
Così racconta il suo contenzioso con Dio: “Io ammetto di essermi messo contro il Signore, ma non l’ho mai rinnegato. Rivendico il grido di Geremia nelle Lamentazioni quando evoca la distruzione del primo Tempio di Gerusalemme: ‘Tu hai ucciso i tuoi figli senza pietà! Tu hai assassinato il tuo popolo senza compassione!'”. Tuttavia, Elie Wiesel aggiunge il suo grido: “Cosa? Dio un assassino? Certo, tra noi sopravvissuti, alcuni hanno protestato contro il silenzio divino! Ma nessuno ha avuto l’audacia di chiamare Dio ‘assassino’!”.
Scrive ancora nella sua narrazione che Elijah, il nipotino prediletto, gli dice: “Nonno, tu sai che io ti amo; e io so quanto tu stai soffrendo. Dimmi: se io ti amo di più, tu soffrirai meno?”. La reazione, sofferta e ponderata dello scrittore, rivela mente e spirito: “In quel momento, ne sono convinto, Dio contempla la Sua creazione sorridendo”.
Ora, con Dio e in Dio, anche Elie Wiesel sorride su di noi, la sua memoria sia a benedizione.