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«La disabilità non va vissuta e subita in silenzio»

di SILVIA ALLEGRI
Un libro per raccontare un’esperienza e per dare qualche consiglio 

«La disabilità non va vissuta e subita in silenzio»

di SILVIA ALLEGRI
Appena nato è stato subito tolto da sua madre e per un lungo periodo è stato in incubatrice per poi essere sottoposto a tanti interventi, tutti estremamente delicati. «Sarà per questo che mi sono abituato subito a stare da solo, senza mai lamentarmi», racconta Giuseppe Flore. Classe 1989, figlio di due sardi trasferiti in Trentino Alto Adige e poi a Verona per permettere al loro figlio di ricevere tutte le migliori cure specialistiche, Giuseppe lavora da diversi anni presso InJob, società specializzata nella ricerca e selezione del personale. E durante un’intervista a Paola Vivian, in occasione della Giornata mondiale della disabilità, è scattato qualcosa in lui: da quell’incontro è nata, fortissima, la voglia di scrivere un libro, che ha visto la supervisione della sua intervistatrice. Pubblicato in marzo, il volume è stato presentato al pubblico veronese per la prima volta nei giorni scorsi. E dunque ora possiamo leggere Zitto che ti sente (Scripta Edizioni, 2023) e capire meglio cosa succede a un bambino, e poi a un uomo, quando le persone lo guardano con insistenza e imbarazzo, senza sapere come comportarsi.
Quando il mondo sembra guardare solo te
Giuseppe ha voglia di raccontare al mondo intero la sua esperienza: è disabile dalla nascita. Ma prima di essere disabile, è un uomo dal carattere determinato, generoso nel raccontarsi, autocritico e ironico. Che ama chiamare le cose con il loro nome, e contribuire con le sue parole all’abbattimento delle barriere mentali che, nostro malgrado, ci circondano ancora. «Da bambino non avevo ancora gli strumenti che ho oggi – racconta –. C’erano giorni in cui sentivo tutti gli occhi del mondo fissi su di me, perennemente. In cui le frasi sussurrate, i “guarda come cammina”, erano urlati. Giorni in cui mi sentivo inadatto a tutto. Un signore del mio paesino in Sardegna ancora oggi, ogni volta che mi vede, mi rivolge uno sguardo di pietà. Poverino, mischineddu! Ecco, lo prenderei per mano e lo porterei a fare un giro in ospedale, tra i malati. A vedere le carezze dei genitori ai figli paralizzati, carezze in cui è racchiusa tutta la dignità del mondo. Nemmeno loro sono “poverini”: sono persone che possono contare sull’amore della loro famiglia. Ho imparato che la gente, se vuole guardare, ti guarda; e se vuole giudicare, ti giudica. Sempre e comunque. E tu fregatene!».
Zitto che ti sente frase sentita troppe volte
«La prima cosa che ho deciso, quando mi sono messo a scrivere il libro, è stato il titolo: Zitto, che ti sente. Ho scelto la frase che ho sentito migliaia di volte in questi miei 34 anni. È la risposta del genitore alla domanda del bambino, è la prova di come un argomento possa essere troncato sul nascere. Invece no, non deve essere così». Mentre parliamo, Giuseppe mi fa notare quanto io sia diversa dalle altre donne presenti nella sala in cui ci troviamo. «Non esiste una persona uguale a un’altra. Perché, allora, parlare di diversità solo nella sua accezione negativa? Proprio per questo non c’è nulla di male nelle domande che fanno i bambini quando vedono qualcosa o qualcuno che si muove, si comporta, parla, ragiona in modo differente da quello a cui sono abituati. Il vero problema sono le risposte che diamo loro: a volte lo si fa con l’illusione di proteggerli, per non mostrare una parte diversa della società. Ma qui nasce il fraintendimento: se i piccoli venissero educati alla diversità di qualsiasi tipo, tutti avrebbero la possibilità di vivere senza essere giudicati».
L’invito ai genitori: il dialogo coi ragazzi…
«Ringrazio i miei genitori, che hanno messo da parte la loro necessità di proteggermi e mi hanno lasciato libero di decidere, sbagliare, provare. In una parola, vivere». In fondo al piccolo libro di Giuseppe, che racchiude immense verità, il primo pensiero va a Ivo e Gianna, genitori che si sono sentiti impotenti alla sua nascita. Che non hanno potuto abbracciarlo e stringerlo nei primi giorni, trovandosi alle prese con un neonato che necessitava di cure specifiche a lungo termine a causa di una patologia complessa. “Ai genitori di figli disabili viene chiesto un salto nel vuoto, e pure bendati”, scrive Giuseppe. Eppure, mamma e papà hanno fatto i pendolari da Rovereto a Verona ogni giorno, nelle prime settimane di vita del loro bambino, hanno affrontato interventi chirurgici, ricoveri, visite, riabilitazioni. Ma soprattutto, sono stati capaci di lasciare andare Giuseppe, quando è arrivato il momento per farlo: “Non deve essere stato facile per loro, deve essere servito tanto coraggio per farmi allontanare dall’ambiente protetto dove ero sempre stato”. Ma ci sono riusciti: e Giuseppe è andato a scuola, ha affrontato i primi ostacoli, è caduto, anche, ma si è rialzato. Ha imparato a mettere a posto i bulli, ha insegnato a chi gli faceva un colloquio di lavoro che lui non era un disabile a caso, da piazzare in un posto perché così dice la legge. Ha aiutato gli altri, si è misurato con le delusioni, ha imparato a prendere le giuste distanze dalla gente, ricordando che non sempre un essere umano ha voglia di parlare, e non serve che una persona si sforzi di rivolgergli la parola, se non c’è nulla da dire. Giuseppe è anche riuscito a fidarsi, a farsi degli amici, a innamorarsi. Fino a questo traguardo: Zitto che ti sente. «Il mio sogno adesso è che questo libro arrivi nelle scuole. Vorrei parlare con i ragazzi e i bambini, e rispondere a qualsiasi loro domanda. Ma anche ascoltarli, capire il loro punto di vista». Superando insieme inutili ipocrisie, pietismi, pregiudizi, per porre le basi di un percorso di vera integrazione e convivenza fruttuosa tra persone con diverse abilità.
…e quello con i datori di lavoro
Intanto, arriva un consiglio alle persone disabili: «Smettetela di scrivere in piccolo la vostra percentuale di disabilità nel curriculum, anzi mettetela bene in vista. Sfruttate gli aiuti che la legge prevede e fate emergere i vostri punti di forza». Giuseppe ci ricorda infatti che in Italia le persone disabili con occupazione sono appena il 31,3%, un dato che parla chiaro rispetto a un atteggiamento spesso remissivo. E ai datori di lavoro ricorda: «Non ci sono solo gli incentivi che ricevete per inserire nel vostro organico una persona disabile. Perché state facendo entrare nella vostra organizzazione una persona che vi può arricchire, può migliorare l’intero ambiente lavorativo e può dare un contributo unico». 

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