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«Come una Ferrari ho affrontato tutte le curve della mia vita»

di MARTA BICEGO

La storia di Sergio Cantù: un’esistenza condizionata dallo stato di celebroleso narrata in un libro

Parole chiave: Storie (23), Disabilità (40)
«Come una Ferrari ho affrontato tutte le curve della mia vita»

di MARTA BICEGO

«La velocità è la mia seconda fede». A Sergio Cantù piace andare veloce. Pure con le parole: quando racconta di sé, procede tutto d’un fiato. Rapido. Forse perché ha trascorso la sua vita con il piede sempre puntato sull’acceleratore. Delle automobili sportive, da sfegatato ferrarista qual è. Della sua stessa esistenza, «per ridimensionare il mio stato di cerebroleso», dice, a seguito di un parto difficile che ha lasciato il segno.

Sergio, che oggi ha 60 anni, ne parla serenamente. Anzi, ha già scritto due libri descrivendo la sua esperienza: il primo risale a dieci anni fa, dal titolo I miei 50 anni da Cireneo; il secondo è del 2016, Diario di una vita d’amore, che ha donato soltanto a familiari e conoscenti. Si aggiunge adesso un terzo volume, auto-prodottoUna vita oltre i propri limiti. Come ho ridimensionato la mio stato di cerebroleso. L’ha iniziato nel 2021, scrivendone una parte durante il servizio come volontario sorvegliante presso la casa di accoglienza “Il Samaritano” della Caritas diocesana; altri capitoli li ha ultimati in un periodo di malattia, mentre era costretto tra le mura casa. E, se proprio si doveva rallentare, ha voluto rendere costruttivo questo “pit stop” obbligato. 

Perché un nuovo libro? Per testimoniare, risponde l’autore, «come da disabile sono arrivato a condurre una quotidianità da persona normodotata. Sono autosufficiente, lavoro in una scuola, frequento tanti amici, costruisco presepi natalizi e pasquali. Ho viaggiato molto per vacanza e solidarietà anche all’estero, ad esempio in Uzbekistan, Russia, Cina, Messico e Brasile». Non è tutto: «Sono stato più volte al volante di una Ferrari su strada, noleggiandola o grazie ad amici. Adesso sogno di guidarla in pista». A proposito di velocità: «La prima volta che ho guidato una Ferrari ho pianto per 15 minuti», confessa l’appassionato della celebre Rossa.

C’è di più. Da un lato Sergio vuole fissare tra le righe i traguardi raggiunti, come riassume nell’immagine di copertina realizzata dall’amico Roberto Filippini: una persona che abbandona la carrozzina e si mette in cammino verso l’autonomia. Dall’altro lato, vuole rivolgersi a quei genitori con un figlio disabile per esortarli «a non arrendersi troppo facilmente. Hanno davanti giorni difficili, non lo nego, ma l’autonomia si può conquistare. Come ho fatto io». Lo ribadisce con un motto che ripete (e si ripete) di frequente: «Non arrendersi mai». Non scoraggiarsi. Non esiste la parola “poverino”: l’ha insegnato il pediatra ai suoi genitori, invitandoli a trattare Sergio in modo uguale al fratello; senza commiserazione né scorciatoie, senza risparmiare qualche sgridata quando necessario. È stato lo stesso medico a indirizzarlo verso la montagna per acquistare un migliore equilibrio. Così, assieme al papà e al fratello Paolo, ha iniziato a percorrere sentieri attrezzati di corde e scale di ferro, dove ha allenato non solamente l’equilibrio ma la capacità di vincere la paura. «Quanti stimoli ho ricevuto fin dalla prima infanzia», riassume. Spiegano tanta tenacia. 

Chi si arrende, prosegue Sergio, perde una vita fatta di gioie. Magari seguono a insuccessi e sconfitte, a momenti difficili, ma è proprio nelle difficoltà che si trova la leva per migliorare. Assieme alla profonda fede, germogliata in parrocchia e alimentata da percorsi di studio e di approfondimento della Bibbia; ha frequentato gruppi di preghiera al Centro missionario ed è entrato a far parte della Rete Guinea Bissau, conoscendo le realtà della missione; si è dedicato attivamente al volontariato sia al Samaritano che alla Ronda della carità e alla cooperativa Faliero. A tenere annodato tutto, incalza, «è la fede. Rappresenta per me la forza per andare avanti, specie nei momenti difficili, come quando sono venuti a mancare i miei genitori. Non so come avrei fatto senza la preghiera». Al Centro di Pastorale giovanile ha conosciuto Gian Battista Melini con la moglie Giovanna e il figlio Alberto (a cui ovviamente ha trasmesso la passione per il cavallino rampante): «Quando sono mancati mamma e papà sono diventati la mia seconda famiglia», ci tiene a sottolineare. 

La quotidianità di Sergio è accompagnata da parecchie amicizie, presenze fondamentali e “carburante” inesauribile. All’amico e psicopedagogista Pedro Puigbor Orti, venuto a mancare prematuramente, è dedicata la pubblicazione. Ed è la moglie di Pedro, Ida Gozzo che fu insegnante di sostegno di Sergio, a descrivere l’umanità e la gratuità dell’ex alunno, ora divenuto un adulto generoso oltre che un esempio di tenacia. 

“Una persona di grande ricchezza interiore – scrive Gozzo – per i valori che ha saputo anteporre ad altri, per la scelta di veri amici che sono ancora faro per il suo cammino e per l’amorevole disponibilità dei genitori e del fratello che hanno creduto in lui, nelle sue risorse pur a volte nascoste e gli hanno permesso di crescere libero in tutte le sue espressioni”. Questo è Sergio, che accelera e va veloce, oltre la sua disabilità.

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