Andiamo tutti di fretta, non abbiamo tempo per fermarci, per stare ad ascoltare, per informarci sentendo le diverse campane, per riflettere, per porci delle domande, per risolvere i nostri dubbi e così farci un’idea sulle diverse questioni. È troppo persino contare fino a dieci prima di dare un giudizio che non sia dettato solo dall’impulsività emotiva o dalla paura del diverso che non conosciamo. E poi i nuovi media ci impongono la brevità, ci insegnano ad emettere sentenze, spesso spietate, più che a costruire discorsi articolati e argomentati. Basta una sigla, accompagnata da un emoticon (una faccina) per far comprendere come la pensiamo e quale sia il nostro stato d’animo. Se poi ci si può celare dietro un nome fittizio, si ritiene lecito dare libero sfogo agli impulsi più fegatosi.
Se questo è il contesto, che spazio c’è per la misericordia nel nostro comunicare? È l’interrogativo che sorge leggendo il messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, nel quale siamo invitati a riscoprire che le parole hanno il potere di “gettare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione”, di costruire una vera cittadinanza e che la comunicazione è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità.
L’attenzione vigile “sui modo di esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sbagliato” dovrebbe coinvolgere pure la politica, la diplomazia e il mondo dell’informazione, quello che (salvo rare eccezioni) non ha dedicato una-parola-una al messaggio del Papa. Come se “una visione della società radicata nella misericordia sia ingiustificatamente idealistica o eccessivamente indulgente”. Pare di sentirli i grandi capi dei media laici: comunicazione e misericordia, e noi che c’entriamo? Se c’è una notizia, bisogna darla, dura e pura, senza moralismi o facili pietismi. Se poi c’è l’occasione di bacchettare qualche avversario politico o economico evidenziandone le malefatte, che problema c’è? Del resto non è questo che vuole il pubblico? Chi ci darebbe attenzione se usassimo parole mosce, dubitative? Con i se, i ma e i però non si va lontano. La misericordia? Lasciamola ai cattolici, poverini.
Fantacronaca? Forse. Il Papa in fondo ci ricorda che le parole sono come pietre: con il buon cemento della misericordia (ma possiamo chiamarla amore, carità e, in fin dei conti, laicamente, etica professionale e deontologia) possono servire per edificare una casa, un quartiere, una città, per costruire una società vivibile ma se scagliate contro qualcuno possono ferire e arrivare a distruggere. Quindi vanno utilizzate con scienza e coscienza. Un invito valido per tutti coloro che fanno informazione. Cattolici e non.