Non ho visto la serie televisiva “Gomorra”, ma ho letto alcuni articoli di giornali che in questi giorni hanno espresso diverse opinioni in merito alle possibili conseguenze che la rappresentazione del “male” può avere sul pubblico televisivo. Non senza motivo, questo dibattito mi ha fatto venire in mente gli scritti di Hanna Harendt, la studiosa che ha affrontato nei suoi libri il drammatico problema di cercare il modo più corretto per raccontare l’orrore del totalitarismo nazista e stalinista. Fatte le dovute distinzioni tra la storia che riguarda milioni di persone e le storie che coinvolgono un numero molto inferiore di individui, come la differenza tra un libro destinato a un pubblico colto e una trasmissione televisiva destinata a milioni di telespettatori, alcune considerazioni emerse dai testi della Harendt possono essere utili per riflettere sul problema della “narrazione del male”.
Ogni realtà umana deve essere inserita in un racconto, in una narrazione, che renda evidente il significato profondo che collega tanti gesti singoli; i quali sembrerebbero assolutamente “banali” se svincolati dal loro contesto e dalle conseguenze da essi causate. La narrazione consente una “comprensione” dei fatti che non deve essere né giudizio ideologico, né accettazione passiva o giustificazione di quanto è accaduto. Ogni narrazione, sia cinematografica sia letteraria, non può mai essere oggettiva e neutrale ma è un “riconoscimento” della realtà storica che comporta una possibilità di apertura della verità che l’uomo è e può essere. Della natura umana intesa non come un dato astratto e teorico, ma come una condizione che, all’interno di determinati contesti sociali e culturali, si presta a degli sviluppi intrisi di responsabilità morali e politiche.
La narrazione, come diceva Aristotele, è catartica se consente di aiutarci ad analizzare e a capire le nostre emozioni in vista di un giudizio che restituisca a ciascuno di noi non solo il ruolo di spettatore passivo, ma quello di attore della comunità politica. Non so se gli esiti della serie televisiva “Gomorra” possano essere quelli di renderci spettatori di un dramma umano e sociale che ci lascia sbigottiti e disperati o attori di scelte personali e politiche più consapevoli e meglio orientate nella ricerca della umanizzazione della vita. Mi sembra doveroso ricordare quanto ciascuno di noi abbia bisogno di essere aiutato dai mezzi di comunicazione non solo a vedere la realtà ma anche a saperla leggere, per “comprenderla”, cioè “per favorire le condizioni per l’esercizio della libertà umana”. Dice Montesquieu, citato dalla Harendt: “L’uomo, questo essere flessibile, che si adatta nella società ai pensieri e alle impressioni altrui, è ugualmente capace di (ri)conoscere la propria natura quando gli viene mostrata, e di perderla fino al punto di non accorgersi che gli è stata sottratta”.