Figli si nasce, genitori si diventa: la co-educazione fa felice la famiglia

“Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. Per quanta sia la mia venerazione per il grande indagatore dell’animo umano Lev Tolstoj, continuo a nutrire dei dubbi nei confronti del suo immortale incipit ad Anna Karenina. Mi chiedo se non sia altrettanto vero che, per esempio, le piccole gioie quotidiane di ogni nucleo famigliare siano segrete, peculiari e uniche tanto quanto i drammi, i dolori e le fatiche.

March 19, 2017

| DI Giovanni Maria Capetta

“Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. Per quanta sia la mia venerazione per il grande indagatore dell’animo umano Lev Tolstoj, continuo a nutrire dei dubbi nei confronti del suo immortale incipit ad Anna Karenina. Mi chiedo se non sia altrettanto vero che, per esempio, le piccole gioie quotidiane di ogni nucleo famigliare siano segrete, peculiari e uniche tanto quanto i drammi, i dolori e le fatiche.
La dimensione familiare è un universo variegato tanto quanto l’uomo e le combinazioni sono così infinitamente differenti che qualunque generalizzazione, con buona pace delle scienze sociali e statistiche, rischia di non centrare il bersaglio. Ciò detto, mi smentisco affermando che vi sono dei capisaldi del buon vivere familiare su cui l’esperienza comune e la letteratura che ne deriva si sono ormai consolidate. Una delle pietre miliari del dibattito sulla “costruzione della famiglia” è il rapporto con le famiglie di origine, i genitori e i suoceri. Un tema apparentemente “laterale” ma che, invece, nella concretezza assume uno spessore notevole e che, infatti, è ormai d’obbligo nei programmi dei corsi prematrimoniali, ma anche negli incontri di spiritualità famigliare per coppie già sposate. Possibile che questo argomento sia sempre così caldo? Lo stesso papa Francesco in quella miniera che è l’esortazione apostolica Amoris Laetitia dedica non poco spazio a questo tema: “Sposarsi è un modo di esprimere che realmente si è abbandonato il nido materno per tessere altri legami forti e assumere una nuova responsabilità di fronte ad un’altra persona” (AL 131); “‘L’uomo lascerà suo padre e sua madre’. Questo a volte non si realizza, e il matrimonio non viene assunto fino in fondo perché non si è compiuta tale rinuncia e tale dedizione. [...] In alcuni matrimoni capita che si nascondano molte cose al proprio coniuge, che invece si dicono ai propri genitori, al punto che contano di più le opinioni dei genitori che i sentimenti e le opinioni del coniuge” (AL 190).
Sfido qualunque marito e qualunque moglie a negare che si siano trovati almeno una volta al limitare di questo rischio che il Papa mette in evidenza in modo così schietto. Chiunque capisce che non si tratta di venir meno al quarto comandamento, di onorare il padre e la madre, né tanto meno di rifiutare loro l’assistenza.
Ma questa dedizione ai genitori che ci ricorda che siamo sempre tutti figli, mai dovrebbe cedere il posto ad una sorta di sudditanza, ad una mancanza di soluzione di continuità, quel famoso taglio del cordone ombelicale che – contraddicendo la vulgata – non riguarda solo il maschio bamboccione attaccato alla sottana di mamma, ma può anche riguardare le giovani mogli che ancora non sono riuscite a far posto al marito sul piedistallo riservato al loro padre.

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