Condiscepoli di Agostino
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In Cristo liberi dai mali e riempiti dei suoi beni

In forza della sua stessa esperienza, Agostino afferma solennemente che solo la grazia di Cristo Salvatore ci libera da questa misera vita: “Dagli inferi per così dire di questa misera vita non ci libera se non la grazia di Cristo Salvatore, Dio e Signore nostro...

Parole chiave: La città di Dio (66), Sant'Agostino (187)

n forza della sua stessa esperienza, Agostino afferma solennemente che solo la grazia di Cristo Salvatore ci libera da questa misera vita: “Dagli inferi per così dire di questa misera vita non ci libera se non la grazia di Cristo Salvatore, Dio e Signore nostro (questo nome è Gesù in persona: viene interpretato appunto ‘Salvatore’), soprattutto perché dopo questa vita non ci prenda non una vita più misera e sempiterna, ma la morte” (De civ. Dei, XXII, 22.4). Approdati nel Regno eterno, saremo davvero senza prove, nella vera pace: “In quel regno però, dove saremo sempre con il nostro corpo immortale, non ci sarà nessuna battaglia e nessun debito” (De civ. Dei, XXII, 23). Ora però siamo in conflitto, sempre a rischio, come manifestazione dei mali a cui siamo soggetti in questa vita. Aneliamo ad essere liberati con la vittoria finale (Cfr. Ivi).

Benché la vita terrena sia soggetta ad una infinità di pene, a causa del peccato originale, l’umanità non è stata privata della facoltà generativa: “E dopo il peccato Dio non volle inibirla (la facoltà della fecondità) e rimase nella stirpe dannata la fecondità donata. E il vizio del peccato, con cui ci è piombata addosso anche la necessità di morire, non ha potuto togliere via quella forza mirabile delle sementi, e per di più anche più mirabile per il fatto che vi si producono i semi, messa dentro nei corpi umani e in qualche modo intessuta” (De civ. Dei, XXII, 24.1). A questo punto, Agostino decide di dare risalto ai beni che Dio ha accordato alla natura umana benché corrotta (Cfr. Ivi). Così si esprime: “È giunto il momento di prendere in considerazione di quali e di quanto numerosi beni la bontà di Colui che governa tutte le cose da Lui create ha riempito questa stessa condizione di miseria del genere umano, nella quale viene lodata la giustizia di Colui che punisce. Anzitutto, appunto quella benedizione che aveva proferito prima del peccato: ‘Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra’” (Cfr. Ivi; Gen 1,28). Dopo aver a lungo dissertato sui mali che sono piombati addosso all’umanità a causa del peccato originale, “ora ho stabilito di parlare dei beni di Dio, che ha conferito e a tutt’oggi conferisce, alla stessa natura viziata e dannata” (Ivi). Dunque, “con la sua benedizione, Dio ha elargito all’inizio delle opere del mondo la propagazione di quei due beni, che, come abbiamo detto, sgorgano come dalla sorgente della sua bontà anche nella natura viziata dal peccato e condannata alla pena” (De civ. Dei, XXII, 24.2). Di conseguenza, “qualora sottraesse la sua efficace potenza alle cose, né potranno progredire e trascorrere i tempi con movimenti misurati né permarranno nella identità in cui sono state create. Dio pertanto ha così creato l’uomo da aggiungergli una certa fertilità, mediante la quale propagare altri uomini, dando loro contemporaneamente la stessa possibilità di propagare, non la necessità” (Ivi). Di conseguenza, “coloro che si accoppiano non possono essere generanti se Lui (Dio) non è creante” (Ivi): i genitori procreano, Dio crea! E proseguendo nella riflessione che si traduce in contemplazione dell’atto generativo e della fecondazione, precisa: “Dio fa sì che i semi effettuino il loro numero e da nascosti e invisibili involucri evolvono nelle forme di questa bellezza che vediamo” (Ivi). Opera degna di ammirazione e di lode: “Questa sua opera è così grande e ammirevole, che non solo nell’uomo, in quanto è un animale razionale e perciò più eccellente di tutti gli animali terrestri e ad essi superiore, ma anche riguardo al più piccolo moscerino, ingenera lo stupore della mente e suscita la lode del Creatore a chi è in grado di considerare con attenzione” (Ivi).

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