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Lo Stato imprenditore

Il principio è: il libero mercato o non si muove o lo fa maluccio. Quindi tocca allo Stato entrare dentro certe partite mettendoci sia soldi che la possibilità di dettare le regole

Parole chiave: Aziende pubbliche (2), Economia (128), Stato (7), Stato imprenditore (1)
Bandiera dell'Italia (foto: StockSnap - pixabay.com)

Le ultime novità nei settori della fibra per trasportare internet, della gestione delle autostrade, delle banche (per amor di patria tralasciamo Alitalia e Ilva di Taranto) testimoniano la forte volontà di questo esecutivo di far entrare lo Stato in partite decisive per il funzionamento dell’economia. Il principio è: il libero mercato o non si muove o lo fa maluccio. Quindi tocca allo Stato entrare – anche a piedi uniti – dentro certe partite mettendoci sia soldi che la possibilità di dettare le regole. Piaccia o non piaccia, si sta facendo così.
Pertanto da qui parte la nascita di un grande campione nazionale che porti la fibra in quasi tutte le case italiane, perché ormai internet è importante come un’autostrada o un aeroporto; da qui lo smantellamento di una situazione gestionale della rete autostradale che riporta l’ente pubblico nuovamente dentro questa decisiva infrastruttura, dopo che negli anni scorsi gli enti locali avevano venduto le loro quote a favore di pochi grandi gruppi privati. Che poi contrattavano con lo Stato i termini (assai vantaggiosi) del loro impegno nella gestione.
Decisivo è stato poi l’intervento di denaro pubblico nel salvataggio di banche di primaria importanza nazionale: Montepaschi Siena, Popolare Bari, indirettamente Carige per citare le più grandi. Se salta una banca “di territorio”, è il territorio che poi ne soffre di più. Quindi salviamo, risaniamo e poi vediamo che fare.
Fece così pure l’Obama che si trovò tra capo e collo la più grave crisi economica del secolo – prima che arrivasse questa del Covid –: fornì mezzi abbondanti all’economia per non crollare, a certe grandi aziende per proseguire la loro attività. Cercando poi nuovi acquirenti, nuovi business, insomma un disimpegno che tra l’altro fu doppiamente positivo per il Tesoro americano: economia salvata e rivendite di quote azionarie a prezzi maggiorati.
Faremo anche noi così? Sistemiamo le cose e poi le rimettiamo nel circolo del libero mercato? O sceglieremo la soluzione francese di uno Stato che partecipa al capitale di molte grandi aziende, condizionandone l’attività?
Se ci fosse da scommettere, punteremmo sulla seconda soluzione. Che qualche senso ha, se si vuole salvaguardare la “italianità” di certe imprese e se il libero mercato nazionale appare assai asfittico quanto a capitali e capitalisti. Basta che non si finisca con la creazione di un’ulteriore mangiatoia fatta di poltrone e cariche assegnate in base alle appartenenze politiche invece che al merito. Come già si sta profilando nel caso della Popolare di Bari, dove la scelta dei vertici aziendali è in stallo: ci sono le elezioni regionali, vediamo chi vincerà, vediamo chi poi proporrà…

(foto: StockSnap - pixabay.com)

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