È connaturato nel cristiano il dialogo con le altre fedi

Come ignorare che Abramo è anche padre di Ismaele da cui discendono tutti i fedeli dell’Islam?

June 28, 2015

| DI Cristiana Dobner


La globalizzazione, le migrazioni dei popoli, hanno allargato gli orizzonti del vivere quotidiano e, quando non li hanno confusi, anche quelli della cultura. Oggi la religione musulmana e i musulmani non costituiscono una conoscenza elitaria, ristretta ad alcune cerchie ma sono una quotidianità con cui convivere.
È giunto il momento di staccarsi da pregiudizi e tristi vicende belliche e guerresche per entrare in un rapporto di conoscenza, nutrito di rispetto e di accettazione. L’iniziativa della Cei del dialogo interreligioso islamo-cristiano con la pubblicazione di chiare schede (www.chiesacattolica.it/ecumenismo/siti_di_uffici_e_servizi/ufficio_nazionale_per_l_ecumenismo_e_il_dialogo_interreligioso/00071150_Schede_per_una_conoscenza_piu_approfondita_dell_Islam.htm) getta il fondamento appropriato perché ciascun cristiano si interroghi e possa scegliere come impostare il proprio pensiero, come nutrire la propria fede e, di conseguenza, agire nei rapporti esistenziali.
Se scrutiamo la Parola di Dio che riteniamo rivelata ed è luce nel cammino della vita, Abramo viene detto dall’Altissimo “amico” (2Cro 20,7). Isaia dichiara, con vigore e solennità, che Israele è “discendenza di Abramo, mio amico” (Is 41,8).
Chi vive nella fede, riconoscendo Gesù Cristo Messia e Figlio di Dio, celebra, il 9 ottobre la commemorazione di sant’Abramo, “patriarca e padre di tutti i credenti”.
Il rito ambrosiano della Messa, al momento dell’anamnesi e offerta, dopo la consacrazione del pane e del vino, richiama il sacrificio gradito a Dio di Abramo “nostro padre nella fede”.
Se questa figura testimoniale giganteggia ed è padre di tutti noi credenti, come non far riaffiorare alla mente che è pure padre di Ismaele da cui discendono tutti coloro che si rivolgono e credono in Allah?
Non bisogna eludere le difficoltà teologiche che, tuttavia, spettano agli specialisti ma con questa consapevolezza e autocritica aprirsi al dialogo la cui finalità, sottolinea la Cei, “non è quella di giungere all’unità tra le religioni né quella di concludere che esse sono, in fondo, tutte uguali”.
Resta invece per ogni cristiano l’impegno di riflettere e diventare un testimone della propria fede, non incapsulato nel proprio mondo ma dilatato nel dialogo che assume ben altre tre modalità cui, tutti senza esclusione, possono accedere: il dialogo della vita, “dove le persone si sforzano di vivere in uno spirito di apertura e di buon vicinato, condividendo le loro gioie e i loro dolori, i loro problemi”. Come sottrarsi a questa vicinanza e come stigmatizzare persone esattamente come noi, attraversate dai “semi del Verbo” come ha affermato il Vaticano II?
Il dialogo delle opere, “che si sviluppa attraverso modalità diverse di collaborazione in vista dello sviluppo integrale e della liberazione totale dell’uomo”, non è affare da demandare o ritenere estraneo, Dio ha creato la persona umana e ogni persona umana a Lui ritorna, vivendo il proprio percorso storico nella lode, nella fratellanza.
Il dialogo dell’esperienza religiosa, “dove persone radicate nelle proprie tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio rispetto alla preghiera e alla contemplazione, alla fede e alle vie della ricerca di Dio o dell’Assoluto”, il rapporto che ciascuno/a sperimenta con il “Tu” che regge la propria vita, le conferisce significato e la scopre redenta e salvata dal sacrificio di Gesù Cristo, può allora restare insensibile e accartocciata su se stessa?
Si apre una stagione nuova, che sola può sconfiggere il male che uccide, sevizia, stupra gli innocenti, in nome della religione.
È la Chiesa, madre nostra, che ci invita e ci guida in un percorso, non facile, forse accidentato, ma proprio per questo solco di donazione, di amicizia.
Abramo plasmi la nostra fede cristiana perché padre di tutti, nessuno escluso.

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