Giovanni 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
La liturgia di questa domenica prevede la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, proseguendo la memoria di quanti ci hanno preceduto dopo la festa di Tutti i Santi. La memoria dei morti è senza dubbio una delle più antiche tra quelle celebrate dall’umanità. Nel tempo, infatti, il desiderio di dare testimonianza a chi non era più in vita, di ricordare ha condotto gli uomini a seppellire i morti e a lasciare dei segni (una pietra, una pianta, un simbolo sacro) che potessero narrare qualche cosa del defunto. La pratica della sepoltura è una operazione specificamente umana, in quanto l’uomo, per divenire sempre più consapevole del tempo e della vita, non può esimersi dal confrontarsi con la morte e con le contraddizioni che essa porta con sé.
Ricordare i defunti, coloro che si sono amati e che ci hanno preceduto, è fondamentale per riconoscere ciò che si è: ciascuno è parte di una catena di generazioni, nessuno è venuto al mondo da solo o per sua volontà. Altri hanno desiderato e tutelato la nostra vita, altri ci hanno inserito in un mondo da loro costruito, altri ci hanno permesso di vivere e di divenire ciò che siamo. In un momento storico come quello attuale non è affatto banale o superfluo ricordare che nessuno si è veramente fatto da sé e riconoscere che ogni uomo beneficia di quanto è stato preparato e predisposto da coloro che lo hanno preceduto. Commemorare i morti significa rendere testimonianza dell’amore autentico che non vive solo nel presente ed è proiettato al futuro, ma si nutre di quanto è iniziato nel passato. Tuttavia, ciò che per i cristiani aggiunge senso alla pratica del far memoria dei defunti è il credere nella resurrezione, nella vita eterna che permette una comunione che va oltre alla morte.
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori». È una promessa limpida e forte: nessuno è escluso; non importa quanto grande possa essere la propria fragilità o quante volte ci si è smarriti. Al fedele non è richiesto di essere perfetto, ma vero; non gli è chiesto di meritare l’amore, ma di lasciarsi amare.
Ogni creatura che viene al mondo nasce, cresce, vive e poi muore. Tale pensiero, sebbene sia evidente, non elimina all’uomo la fatica di attraversare la complessità della vita e nemmeno quella di affrontare il sommo limite, la morte. Essa sovente suscita domande, dubbi, senso di smarrimento se non addirittura angoscia. Ci sono rapporti che si pensano validi “per sempre” ma poi si scontrano con la fine dell’esistenza terrena e chi resta si trova ad interrogarsi su come sia possibile che l’amore finisca. Il credente, posto dinnanzi alla morte di una persona amata, alla luce della fede che professa, sa che nessuno può separare dall’amore autentico che è stato vissuto, perché l’amore tende alla vita eterna. La vita di ciascuno è costituita da una fitta trama di incontri, conoscenze, relazioni presenti e passate che hanno più o meno consapevolmente lasciato un segno e hanno contribuito a renderci quello che siamo. Il ricordo di chi ci ha preceduto è un’occasione per guardare alla nostra vita con verità, apprezzando l’opera di chi ci ha messo nella condizione di essere noi stessi.
Con le sue parole Gesù attesta che ciò che a Lui è stato dato deriva dal Padre, è frutto di una iniziativa divina libera e gratuita. Il Nazareno è l’inviato di Dio per portare a compimento l’opera di salvezza che è destinata a tutti, ha un respiro universale e travalica i confini temporali. «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). La partecipazione alla vita che è offerta a colui che crede in Gesù non è scalfita nemmeno dalla morte, perché Dio lo farà risorgere nell’ultimo giorno. Ciò che attende il credente è quindi l’ingresso nella vita eterna, l’abbraccio con il Nazareno che permette di vivere il tempo della salvezza.
Il Vangelo di questa domenica ci dona parole di grande consolazione. Gesù parla di accoglienza, di vita eterna e di fedeltà. Nel suo discorso Egli rivela alcuni tratti essenziali del volto di Dio che si manifesta un Padre che non respinge, ma accoglie; che non condanna, ma custodisce; che non dimentica nessuno dei suoi figli.