Il vangelo di questa domenica è tratto dall’ultimo dei discorsi di addio che nell’opera di Giovanni si estendono per più capitoli (Gv 13,31–16,33). Il contesto è quello della cena di Gesù con i discepoli e l’episodio si apre con Giuda che esce, mentre fuori è notte. Il Nazareno, consapevole che la sua ora cruciale sta per arrivare, parla con i suoi e interpreta per loro quanto accadrà successivamente in modo che essi riescano a leggere negli eventi della passione e della morte non un fallimento del piano di Dio, bensì una manifestazione della sua gloria. Le parole del Maestro sembrano voler racchiudere le sue ultime volontà, riassumendo in una sorta di testamento quel comando che sintetizza tutta la Legge: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questa eredità che il Nazareno lascia ai discepoli costituisce un dono, ma anche un compito. Gesù, infatti, non affida a coloro che ha scelto un oggetto, un qualcosa da custodire gelosamente, ma comanda che quanti vogliono dirsi suoi discepoli assumano il suo modo di vivere che è stato sempre contraddistinto dall’amore. Il Nazareno esprime la sua richiesta sottoforma di comandamento: ma è possibile comandare di amare? Sempre più spesso, al giorno d’oggi, l’amore è visto come una realtà che si sente, che a volte c’è, mentre altre volte svanisce, quasi in maniera autonoma. Chiedere di amare attraverso un comando, invece, significa riconoscere che l’amore è costituito e si nutre di scelte, di decisioni che sono espressione di una precisa volontà e non frutto del sentire del momento.Gesù desidera che anche dopo la sua morte resti l’amore vicendevole tra i suoi discepoli, un amore che non elimina le sofferenze, le fatiche, gli errori, i drammi della storia, ma che permette di guardare la realtà da un’altra prospettiva, cogliendo negli avvenimenti possibilità e strade inedite per fare qualcosa di nuovo. Quante volte è capitato di chiedersi perché il Nazareno non abbia scelto di affrontare Giuda faccia a faccia, perché non abbia provato a farlo desistere, a cambiare i suoi piani miseri e meschini. Invece, decidendo di accogliere gli eventi della realtà per quello che sono e cercando di farne occasioni per vivere e testimoniare l’amore, Egli attesta la differenza che sostanzia il suo agire rispetto a quello di chiunque altro. Il tredicesimo capitolo del vangelo di Giovanni inizia dicendo che Gesù amò i suoi fino alla fine: anche il modo di trattare Giuda e di lasciarlo libero di decidere testimonia tale amore che arriva fino in fondo. Appare lecito, a questo punto, interrogarsi su come ciascuno vive i momenti in cui sembra che tutto quello che accade sia ingiusto, sbagliato, senza senso; oppure su come ci si rapporta con le persone che si rivelano moleste, offensive, prevaricatrici. Il Nazareno con la sua esistenza ha mostrato come tutto possa essere vissuto nella logica evangelica dell’amore che resta fedele e cerca il perdono.Gesù affida ai discepoli un comandamento che è nuovo non tanto perché nessun testo o nessuna religione in precedenza avessero parlato del precetto dell’amore: la novità risiede principalmente nel “come”. Il Nazareno non chiede amore per sé, ma amore vicendevole l’uno per l’altro; un amore che trova fondamento, nutrimento e misura nella sua vita. Per colui che desidera farsi discepolo l’esempio a cui guardare e da cui farsi guidare è quello di Gesù, del suo modo di farsi vicino, di ascoltare, di incontrare, di parlare in verità senza lasciarsi andare a sentenze di giudizio inappellabile.Per riconoscere un cristiano, quindi, non è necessario cercare indicatori esteriori come possono essere la preghiera assidua – sono molti gli uomini che pregano –, la capacità di operare gesti prodigiosi o la vasta conoscenza. L’unico segno di distinzione per un seguace di Cristo sta nella capacità di amare senza risparmiarsi, di accogliere la realtà come si presenta, senza rinunciare a intraprendere scelte controcorrente perché ispirate solo dal bene che si desidera per ogni donna e ogni uomo.